Se fosse una canzone sarebbe un pezzo di musica elettronica. Uno di quelli che vanno ascoltati a tutto volume, che ti sfondano la testa e dopo mezz’ora ti fanno quasi perdere l’equilibrio. Stefano Oppo è uno così: tono di voce sempre basso, mai una parolaccia, nessun cedimento alla presunzione, ma con decibel potenti che gli martellano le vene. Se non ci fosse ancora la pandemia e se i maxi concerti non fossero vietati, la medaglia di bronzo conquistata a Tokyo la festeggerebbe così: in prima fila in un dj set di Hardwell, Tiesto o Martin Garrix. Provate a cercarli su YouTube, i loro video, per capire che razza di passioni può avere un olimpionico tutto sorrisi, boccoli e ringraziamenti. Il canottiere che si spacca la schiena in palestra, si trasforma sotto a un palco. Foto e video non ce ne sono, ma qualche volta le passioni segrete dei campioni fuoriescono dalla cassaforte dei segreti. 

Stefano Oppo, bronzo olimpico\u00A0(Franck Robichon / Epa)
Stefano Oppo, bronzo olimpico\u00A0(Franck Robichon / Epa)
Stefano Oppo, bronzo olimpico (Franck Robichon / Epa)

Il bronzo conquistato in Giappone, sembra un paradosso, è nato in un campo di calcio. A Torangius, polvere e palazzoni della periferia oristanese. La passione quasi obbligatoria per tutti i ragazzini di provincia: l’allenamento tre volte alla settimana, il mister che urla, i compagni un po’ bulli e il papà che già sogna di andare al campo per tifare per la squadra del figlio. La carriera da terzino però si è fermata il primo giorno ed è bastata una pallonata in pancia perché a sollevare il cartellino rosso non fosse l’arbitro ma quel bambino di 7 anni che un calciatore non lo sarebbe diventato mai. Tra lo spogliatoio sgangherato di Torangius e la barca del Circolo nautico di Torregrande c’è di mezzo un pianto al rientro a casa e l’idea che con un altro sport sarebbe andata meglio. In famiglia, d’altronde, c’era pure un esempio da seguire: «Quello di Matteo, mio fratello, che già faceva canottaggio e che mi ha convinto a iniziare. E che poi si è ritirato». 

Stefano Oppo con il fratello Matteo
Stefano Oppo con il fratello Matteo
Stefano Oppo con il fratello Matteo

Antonio Marras, il primo allenatore del Cno, riconosce subito la stoffa del campione. Insiste, ci crede, non molla. E quel ragazzino che diventa alto e forte ricambia la fiducia con la potenza delle braccia in ogni gara. I trionfi si sommano e le medaglie cominciano a riempire la parete della cameretta. Cinque anni dopo c’è il primo cambio di maglia, che però non è un tradimento. È il secondo passo sulla scalinata della carriera: da Oristano tifano sempre per lui e Stefano Oppo vince ancora, con le insegne della gloriosa Canottieri Firenze. Allenamenti sotto il Ponte Vecchio, grida di gioia che arrivano fino a piazza Eleonora. La barca cambia spesso e gli equipaggi pure. E cominciano ad arrivare i titoli che contano: mondiali conquistati uno dietro l’altro. Il nome di quel ragazzino che non sa neanche tirare un rigore comincia a farsi notare nel mondo spietato dell’agonismo. 

Stefano Oppo nel mare del Sinis
Stefano Oppo nel mare del Sinis
Stefano Oppo nel mare del Sinis

Ma il successo è fatto soprattutto di dubbi. Specie per chi si avventura sulla strada di quelli che passano per essere “sport minori”. E per il ragazzino di Torangius che comincia a diventare grande, c’è da sciogliere il primo nodo grosso: tra sport e vita, tra i consigli del fratello maggiore e degli amici. «A quel punto bisognava capire se lo sport potesse diventare un lavoro, qualcosa di più della passione giovanile. La strada che mi sono trovato davanti è stata quella dei gruppi militari, ma ovviamente non è stata una decisione facile o immediata. Certo, una grande opportunità e l’ho presa. Prima con la maglia della Forestale e poi con quella dei Carabinieri. Regole precise e rigore sportivo, una nuova realtà per un giovane che ancora non aveva le idee troppo chiare».  

Nel racconto di una carriera tutta costruita senza spavalderia c’è da fare anche un flashback. Fino agli anni del liceo scientifico, dove tra l’altro mamma Adriana insegnava religione. Finito il secondo anno, il canottiere che si allenava a Torregrande e sognava le Olimpiadi fa il primo biglietto senza data di ritorno. È la prima grande sfida: conquistare un posto (dire un banco non si adatta alla circostanza) nel college remiero di Piediluco, sulle rive del piccolo lago in provincia di Terni. Alla scuola per i futuri campioni c’è un docente inflessibile: si chiama Agostino Abbagnale, il meno famoso ma il più vincente dei fratellissimi della storia sportiva italiana. «È stata un’esperienza tosta, entrarci non è stato facile ma la formazione è stata davvero preziosa. E forse da quell’allenatore ho ereditato un po’ del carattere e della determinazione quotidiana».  

Il campione oristanese con la fidanzata Camilla
Il campione oristanese con la fidanzata Camilla
Il campione oristanese con la fidanzata Camilla

La strada verso il podio, si sa, non è fatta solo di braccia alzate in segno di vittoria. Di mezzo, tra allenamenti che non si possono fermare e l’eterna lotta con la bilancia, ci sono anche le delusioni, quelle che oggi un olimpionico con la medaglia al petto non vorrebbe certo raccontare a voce alta. Il 2011 è l’anno con più lacrime. Perché un sedicenne che torna a casa dopo aver vinto i campionati europei non si spiega come mai sia stato escluso dalla squadra che poi dovrà andare ai mondiali. Sembrava una sconfitta, ma è stata invece la spinta giusta. «A fare sempre di più, a non arrendermi, a tentarci ancora e a moltiplicare i sacrifici. Ed è quello che mi anima ancora, la lezione che ho seguito fino a oggi e che seguirò ancora, credo sempre». 

Il canottiere sardo non proprio a suo agio sulla neve
Il canottiere sardo non proprio a suo agio sulla neve
Il canottiere sardo non proprio a suo agio sulla neve

Tutto vero quello che oggi Stefano Oppo racconta a bassa voce. Ma una bugia, mascherata dalla solita e incrollabile modestia, si trova tornando indietro di cinque anni, rileggendo dichiarazioni e ringraziamenti di fine gara. È l’11 agosto del 2016 e a Rio de Janeiro il portacolori dell’Italia resta giù per un soffio dal podio. Un quarto e inutile piazzamento, che quasi fa pensare al ritiro. Ma viene da sorridere a rileggerle oggi, con la gioia per la medaglia strappata a Tokyo, le parole che il campione deluso affidò alla sua pagina Facebook durante il ritorno a casa: «Non posso promettere che parteciperò o tantomeno che prenderò una medaglia alle prossime Olimpiadi, posso dire solo che mi impegnerò al massimo per partecipare di nuovo a questo evento e viverlo da protagonista come ho fatto qua». Promessa sì mantenuta, ma solo a metà. E per fortuna.  

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