Nude, bellissime e irraggiungibili. Sono le donne di Helmut Newton, cuore della mostra “Legacy – l’eredità” esposta all’Ara Pacis di Roma fino al 10 marzo prossimo, 250 immagini - molte quelle che hanno fatto la storia della moda e del costume – in parte inedite che raccontano uno straordinario percorso artistico. E un’immagine femminile che è la rappresentazione plastica del dibattito tra chi legge l’utilizzo del nudo come un elemento di liberazione e autodeterminazione delle donne o come oggettificazione a beneficio dello sguardo maschile anche quando, come nel caso delle modelle di Newton, l’atteggiamento è tutt’altro che subalterno.

Ma Legacy non è solo questo. La mostra, che era stata pensata per il centesimo anniversario della nascita del fotografo tedesco (e poi posticipata causa Covid) e che ha debuttato a Berlino, sua città natale, offre un’ampia retrospettiva del lavoro di Newton, attraverso una ricostruzione cronologica delle sue opere. “Il mio lavoro come fotografo ritrattista – amava dire – è quello di sedurre, intrattenere e divertire”. Spingendo sempre un po’ più su l’asticella della provocazione.

La moda e lo spettacolo sono il campo privilegiato di Helmut Neustädter (il cognome che più tardi venne cambiato in Newton) nato a Berlino nel 1920 da una famiglia benestante ebrea che, costretto nel 1938 a lasciare la Germania a causa delle persecuzioni antisemite, inizia la sua carriera in un piccolo studio in Australia. Aveva già all’attivo l’apprendistato in Germania da una celebre fotografa di moda dell’epoca, Yva.

I ruggenti Sixties

Sei capitoli cronologici accompagnano il visitatore della mostra in un viaggio di sei decenni, dagli anni Quaranta e Cinquanta in Australia, ai favolosi Sessanta in Francia che segnano le tappe di un’ascesa irresistibile. Nel 1961 su invito di Vogue, Newton si trasferisce a Parigi – epicentro della moda dell’epoca - con la moglie June conosciuta in Australia e che compare in molti suoi ritratti. Lavora anche per Elle France, British Vogue e per la rivista di avanguardia Queen che pubblica un rivoluzionario servizio sulla moda di Courregès. A metà degli anni Sessanta acquista una casa in Costa Azzurra che diventa teatro di moltissimi servizi di moda e ritratti. Newton diventa interprete dello spirito del tempo, con le citazioni – nei suoi scatti più celebri – alle immagini di Hitchock, Truffaut e Fellini.

Big nudes

Gli anni Settanta sono quelli che segnano il passaggio alle mostre, musei e gallerie, e all’editoria. È del 1976 il primo libro “White women” seguito da “Sleepless night” che raccoglieva foto già uscite su Vogue e Playboy. Il nudo diventa centrale negli anni Ottanta con un rivoluzionario servizio per Vogue Francia e Vogue Italia, “Naked and Dressed” che raffigura le stesse modelle nei servizi di moda e nude, esattamente nelle stesse pose e ancora di più con “Big nudes” (raccolte anche nel suo libro di maggior successo) con le stampe a grandezza naturale ispirate ai manifesti usati dalla polizia tedesca per i ricercati. L’ambientazione è quasi nulla, i corpi nudi (ma rigorosamente con i tacchi) al centro. Negli anni Novanta il lavoro nelle riviste, in generale sempre meno centrale, lascia il posto alle grandi campagne pubblicitarie per Chanel, Mugler, Saint Laurent e a un crescente riconoscimento di questo settore della fotografia sulla scena culturale. 

Accanto al nudo, emergono i ritratti dei principali protagonisti dello star system, Gianni Versace, Andy Warhol, Charlotte Rampling, Romy Schneider, Catherine Deneuve, Mick Jagger, Liz Taylor, Arthur Miller. La mostra “Legacy”, nella versione allestita all’Ara Pacis, dedica poi ampio spazio all’Italia con una serie di fotografie ambientate a Montecatini, Firenze, Capri e Venezia e in particolare a Roma teatro di otto scatti tratti dalla serie Paparazzi. 

Newton morirà a Los Angeles nel 2004 in un incidente stradale lasciando un segno profondo nell’immaginario di un secolo. Quanto al controverso rapporto con l’immagine femminile, i curatori della mostra sposano la chiave del nudo come emancipazione.

«Le sue fotografie – scrivono Matthias Harder e Denis Corti – riflettono i cambiamenti del ruolo delle donne nella società. Nel corso della sua carriera ha saputo meglio di qualsiasi altro fotografo come, metaforicamente, mettere le donne su un piedistallo. Nelle sue prime fotografie si trattava più di un’abitudine di galanteria convenzionale, nel suo lavoro successivo diventa un chiaro riconoscimento del potere e dell’autorità femminile».

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