Parole e immagini per raccontare una storia di speranze e delusioni. Piccoli testi, didascalie e scatti in bianco e nero per un progetto fotografico realizzato nella piana di Ottana, dove ogni giorno Gioele Pinna (50enne di Ghilarza) si reca a lavorare.

Qualche anno fa decide di esplorare l’area industriale del centro barbaricino. Sono luoghi che conosce molto bene. Capannoni abbandonati, fabbriche dismesse, vecchi distributori di carburante dell’Agip, panorami della piana dominata da due ciminiere che non fumano più da decenni, erbacce e cespugli ovunque, cancelli arrugginiti, cartelli di divieto, silos vuoti (e forse mai riempiti).

Lo sguardo

«Non guardate le immagini col gusto del bello, guardatele sentendovi disturbati da questo abbandono. Riflessivi, non melanconici», scrive il giornalista Umberto Cocco, profondo conoscitore di quella realtà, nel catalogo pubblicato da Soter e intitolato “Tracce di memoria”. «Il non visto – scrive ancora Cocco – o meglio l’assente, è una chiave per leggere queste “trame”. Più che risolvere dilemmi, la precisione, il nitore delle immagini, la nettezza dei confini della scena, pongono interrogativi: sul prima, sul dopo, sul laterale rispetto alla messa a fuoco. Su chi manca, e chi c’era in quei vuoti, chi c’era nel reparto dell’acido tereftalico raso al suolo, chi nell’impianto della produzione di fibra».

L’autore

Nelle fotografie di Gioele Pinna la figura umana è assente. Negli scatti non si vede alcuna persona. «È una scelta precisa – spiega l’autore – sin dal primo istante ho puntato sui luoghi e sul paesaggio. In Sardegna non ci sono molti lavori sulle aree industriali abbandonate». In realtà sono pochissimi: “Quaderno di fabbrica” della compianta fotografa orgolese Antonia Dettori e “Fioridicarta” dell’ogliastrino Pietro Basoccu. «Volevo trovare una mia chiave di lettura – continua Gioele Pinna – e allo stesso tempo arrivare a una narrazione fotografica puntando sul testi e immagini». E proprie nei testi ci sono le parole di operai e di altri protagonisti della storia industriale di Ottana. Sono frasi brevi, ma molto efficaci per andare oltre la visione di luoghi squallidi e abbandonati.

Le parole

«Lavoravamo otto ore, interrotte dall’ora pasto, c’era la mensa. Il primo stipendio? Non buono, ottimo lo ricordo. C’era un mio amico che lavorava già in ferrovia. Lui prendeva la metà di me», si legge in una dichiarazione dell’operaio Gianfranco Mula. Altri raccontano dei primi anni Settanta, quando la fabbrica era considerata un simbolo del riscatto della Sardegna dell’interno. Lucia De Pretis racconta di quando vennero costruite le ciminiere giganti: «Sono venuti a vederle da tutti i paesi, sembrava un’attrazione, il parco giochi della Sardegna». C’è chi ricorda anche le condizioni di vita in molti centri dell’interno: «Eravamo poverissimi. Siamo usciti dalla merda e tanta gente è tornata dall’estero. Ora abbiamo la pensione, ci siamo fatti la famiglia, una casa. Abbiamo mandato i figli all’università. Era un traguardo grandissimo», si legge a pagina 28, dove c’è un immagine della torre di raffreddamento di Montefibre.

«L’opera di Gioele – scrive il sindaco di Ottana Franco Saba nell’introduzione del catalogo – è un’importante testimonianza, ispirata anche da conversazioni e interviste agli ex dipendenti della fabbrica, ed è il ritratto di un tempo che ha coinvolto intere generazioni che hanno bisogno di essere raccontate».

Il lavoro del fotografo di Ghilarza è stato curato da Salvatore Ligios per Soter Editrice. «Per Gioele Pinna – scrive Ligios – la decisione di presentare fotografie grigio-nero è una chiara scelta di campo. Una presa di distanza dalle produzioni fotoamatoriali che evidenzia la volontà dell’autore di allontanarsi da una narrazione celebrativa, né memorialistica né funebre, per proporne una dichiaratamente dialogica, riflessiva, polifonica. Un racconto per immagini che prende corpo se viene abitato lettore attraverso la propria cultura, sensibilità, l’esperienza, l’immaginazione. E le quinte teatrali sono l’ideale sfondo per rappresentare in senso greco la tragedia, le tragedie».

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