Un secolo fa il re Vittorio Emanuele inaugurò quella gigantesca opera, il cui cantiere nel giro di sei anni occupò sedicimila operai, fra donne e uomini, perfino bambine, e quattrocento prigionieri austro ungarici. La maestosa diga di Santa Chiara, a Ula Tirso, rappresentò per molti una sorta di sviluppo utopistico nella piana risanata. Un colosso in calcestruzzo alto settanta metri e lungo 260, con una capacità massima d’invaso di 402 milioni di metri cubi. La sua entrata in funzione favorì il processo di modernizzazione del settore agricolo nella piana sud-occidentale della Sardegna, un passaggio epocale. Per celebrare il secolo da quell’avvenimento, ma anche per rianimare la memoria che forse andrebbe coltivata con maggiore attenzione, parte un programma di manifestazioni, da Ula Tirso, naturalmente, a Cagliari.

La regia è affidata all’associazione Paesaggio Gramsci, col giornalista Umberto Cocco, l’amministrazione locale del paese, Fondazione di Sardegna, Regione e Ferrovie Italiane. Aprono il dibattito la mattina di sabato 27 aprile a Ula Tirso i docenti di Storia contemporanea di Bari Antonio Bonatesta, di Cagliari Valeria Deplano, e di Milano, Carlo Lacaita. Mentre il giorno successivo, a partire dalle 9, è prevista con partenza da Ula Tirso una camminata lungo il sentiero che conduce alla diga di Santa Chiara, costruita nella gola di Su Sinnile, dove era dislocato un traghetto per l’attraversamento del fiume Tirso. “Il servizio era stato affidato a una famiglia del paese: quella strada era la sola via d’accesso al centro prima della costruzione della diga; veniva utilizzata dai braccianti e dagli operai per raggiungere il cantiere della grande opera”. All’arrivo alla diga intervengono il sindaco di Ula Tirso, Danilo Cossu, Luigi Ghinami, ingegnere della Direzione generale dighe del Ministero della infrastrutture e dei trasporti, e il docente Carlo Lacaita. Il 12 maggio, ancora, una gara ciclistica amatoriale.

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Infine, a partire da giugno e fino ad agosto, alla stazione ferroviaria di Cagliari la mostra fotografica “Tirso mirabilis”. Un viaggio che consente di scoprire, attraverso le immagini, le diverse fasi della costruzione della diga fra il 1918 e il 1924. Foto in bianco e nero dell’archivio privato dei fratelli Costamagna, affiancata ai filmati dell’Istituto Luce di Franco Taviani e Marco Kuweiller; la stampa dell’illustratore Giulio Cisari presente alla XIX Esposizione internazionale d’arte di Venezia nel 1934; la copertina del giornale inglese The War dedicata al bombardamento della diga nel 1941. “Realizzate all’interno di varie campagne fotografiche” racconta Simone Cireddu, che ha curato la mostra, “commissionate dalla Società elettrica sarda, le immagini sono in parte anonime. Le stampe fotografiche dell’archivio Costamagna, eterogenee per autori ma alquanto omogenee per estetica dello sguardo e scelte compositive, sono state realizzate con macchine di grande formato. Per quanto nell’Ottocento sia stato il pictorialism, ben prima del futurismo, a scoprire la provvisorietà del paesaggio contemporaneo fatto di pali telegrafici e rotaie ferroviarie, le immagini dell’archivio se ne allontanano distintamente per rifarsi ai coevi esempi forniti dalla fotografia documentaria statunitense e tedesca”. 

Alla realizzazione di quell’opera maestosa contribuì anche il lavoro di bambine “messe a trasportare sabbia in sacchetti di iuta e pietre dentro ceste di vimini tenute in equilibrio sulla testa” ricorda Umberto Cocco. “Vi morirono in cinquantasei, ufficialmente, fra loro una sorella di Antonio Gramsci, Emma, trentunenne, impiegata della Società del Tirso. Così quell’opera, quell’insieme di opere concepite con la diga dall’ingegner Omodeo, arrivò con tutti i connotati dell’intervento esterno, semi-coloniale, nonostante un socialista sardo, Felice Porcella, deputato in parlamento dal 1913 e poi a lungo sindaco di Terralba, a sud di Oristano, ne parlasse da anni immaginando uno sviluppo cooperativo municipalistico e sia pure un po’ utopistico nella piana risanata”.
 

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