Protagonisti i film, ci mancherebbe, ma la Mostra del Cinema di Venezia - che quest’anno segna il ritorno alla normalità con sale a capienza completa, feste e red carpet senza misure anti-contagio - è anche la passerella più attesa in fatto di moda, ambitissima dalle griffe che fanno a gara per vestire le star ospiti. Il cinema, d’altronde, ha sempre condizionato le tendenze e la moda. La t-shirt di Marlon Brando, il tubino di Audrey Hepburn, i pantaloni di Marlene Dietrich, la camicia bianca, il gilet e la cravatta di Diane Keaton, i jeans stretti di James Dean, sono solo alcuni dei capi iconici entrati di botto nell’immaginario collettivo e nei guardaroba del momento.

L’eleganza dei gangster

Il cinema condiziona la moda fin dal tempo in cui Theda Bara faceva la gattamorta in Salomè, pellicola muta del 1918: gli occhi pittati di nero e le labbra rosso vermiglio furono copiati dalle signore per tutto il decennio successivo. E che dire di ciò che accadde nel 1931, quando dopo il lancio nelle sale di Nemico pubblico con James Cagney, criminale vestito come un figurino, gli uomini cominciarono a indossare i completi a righe, gli abiti estivi di lino o shantung, la lobbia di feltro con la banda di seta. L’eleganza dei gangster della mafia, Al Capone in testa, aveva soppiantato le regole dettate fino a quel momento dalle sartorie londinesi.

B.B. senza calze

Le donne che rifiutavano il modello dominante di regina della casa hanno amato la tendenza segnata negli Anni Venti dalle creazioni di Coco Chanel con i tailleur pantalone di Marlene Dietrich, le giacche sagomate indossate da Joan Crawford, il bolero di Rita Hayworth, i maglioni lavorati ai ferri di Greta Garbo. Una coscienza di sé alla quale nei Cinquanta diede un contributo anche Brigitte Bardot, non tanto per i capelli biondi raccolti a coda di cavallo, i vestiti fantasia Vichy e i larghi maglioni neri, ma perché fu la prima attrice a non portare le calze nei suoi film.

Il tubino superstar

Come negli Anni Cinquanta, anche nel decennio successivo il capo femminile più venduto resta la petite robe noir, il tubino nero disegnato nel 1926 da Coco Chanel. L’abito più democratico della storia - ottima scelta per matrimoni e funerali - divenne leggenda quando a indossarlo fu Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany nel 1962. Ancora oggi la tenera Holly coi capelli raccolti, i grandi occhiali, il tubino Givenchy col filo di perle resta un simbolo di stile ed eleganza.

I capelli di Bonnie

Nei Sessanta le ragazze che sfoggiavano il pixie, il taglio corto di Twiggy, prima top model della storia, erano le stesse che impazzivano per il look di Faye Dunaway, detective sulle tracce del ladro Steve McQueen in Il caso Thomas Crown, film del ’66 in cui la bellissima attrice indossa abiti a sacco, tubini monobretella, linee a trapezio coi colori acidi. Nel ’67, quando uscì nelle sale il film che raccontava la storia di Bonnie & Clyde, milioni di donne in tutto il mondo copiarono il suo blunt bob biondo, modernissimo ancor oggi.

Gli abiti della recessione

Era tutto un altro mondo, e un’altra moda, invece, nel 1977. Quell’anno le donne cominciarono a vestirsi esattamente come Diane Keaton nel film di Woody Allen Io & Annie: camicia bianca, gilet e cravatta divennero capi indispensabili, ma in realtà era un’altra la tendenza vera lanciata dalla nevrotica musa di Allen: mischiare capi di diverso tipo, la giacca maschile di tweed con la gonnellona romantica, il pantalone di taglio rigoroso con il giubbino scamosciato o il maglione lavorato ai ferri. Non erano abiti di scena, Diane Keaton vestiva esattamente così, tanto da aver rifiutato i diktat della costumista. «Lasciatela fare, lei ha gusto», disse Woody Allen. Un gusto che d’altronde incontrava le esigenze delle donne negli anni Settanta: in tempi di recessione economica, crescita dell’inflazione e dei livelli di disoccupazione, il risparmio divenne una regola, tanto che gli stilisti - che temevano il definitivo declino dell’haute couture - ripiegarono subito sugli abiti classici e a buon mercato. Nasceva il pret-à-porter, la moda pronta.

Lo stile power-woman degli anni Ottanta - decennio dell’edonismo - fu amplificato dai serial televisivi Dynasty e Dallas, con Alexis e Sue Ellen che indossavano giacche con le spalle imbottite e gonne al ginocchio, colori molto vivaci e orecchini importanti. Sul fronte della moda maschile, gli uomini cominciarono a imitare Don Johnson, agente speciale di Miami Vice, che indossava giacche sfoderate Armani e pantaloni fluenti dalle nuances delicate, la t-shirt al posto della camicia e i mocassini senza le calze. E poi i Novanta, i Duemila e l’oggi. Il cinema ha segnato la moda, ha rilanciato tendenze nate nella strada, ha amplificato idee di stile originali. Dai film alle passerelle dei festival, ma il tappeto rosso di Venezia resta la vetrina più ambita da griffe e star.

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