I cambiamenti climatici, l’inquinamento, la cattiva gestione del suolo: sono crescenti le insidie che devono affrontare le api, insetti più che mai preziosi per preservare la biodiversità, ma tanto fragili. In Sardegna, per esempio, per colpa degli incendi del Montiferru, solo nel 2021 ne sono morte 30 milioni. I tempi sono molto duri per questi esseri viventi dichiarati i più importanti del pianeta. Negli ultimi anni si calcola che nel mondo siano scomparsi 10 milioni di alveari, cioè 2 milioni l’anno, e in Italia oltre 200 mila. Non mancano previsioni davvero nefaste come quella che emerge da una ricerca dell’università di Milano: ipotizza che, senza interventi adeguati di salvaguardia, da qui a cent’anni la produzione di miele possa addirittura scomparire.

Il problema ha tanti risvolti, ecologico-ambientale ed economico. Il ruolo di impollinatori svolto dalle api è fondamentale per la produzione agricola mondiale: 90 delle 115 coltivazioni principali dipendono proprio dal loro grande lavoro, fondamentale per la raccolta di tanti frutti. Tra questi come ricorda la Fao mele, pere, albicocche, ciliegie, fragole, angurie, meloni. Tre colture alimentari su quattro dipendono per resa e qualità proprio dalle api. E poi ci sono le piante selvatiche con fiori: anche la loro riproduzione è affidata a questi insostituibili insetti.

Il riscaldamento globale impone alle api una fuga continua: cambiare habitat e spostarsi alla ricerca di areali più freschi. Lo stravolgimento delle stagioni complica ancora la loro esistenza perché con primavere anticipate e periodi freddi oltre misura succede che polline e nettare siano a disposizione sui fiori quando ancora le api non sono pronte a raccoglierli mentre non li trovano quando ne hanno necessità. Una situazione che compromette capacità produttive e riproduttive, come pure la resistenza alle malattie.

Se dal punto di vista ambientale pesano il riscaldamento globale e lo stravolgimento delle stagioni, come pure i pesticidi, sul piano economico si registra l’incremento delle importazioni dall’estero del prodotto principe delle api, ovvero il miele. Un trend poco rassicurante. Nel 2022 l’Italia - spiega in un recente studio Coldiretti - ha importato dall’estero oltre 26,5 milioni di chili di miele con gli arrivi dalla Turchia cresciuti del 146 per cento, dalla Cina del 66 per cento, dalla Romania del 134 per cento e dall’Ucraina dell’83 per cento. Uno scenario preoccupante, anche alla luce della sicurezza alimentare. Coldiretti sottolinea che il calo registrato nella produzione italiana è ripianato dal 12 per cento in più delle importazioni anche da Paesi che non sempre brillano per trasparenza e sicurezza alimentare. Tra i campioni di miele importati nell’Unione europea fra il 2021 e il 2022, quasi uno su due, ovvero il 46 per cento, è sospettato di adulterazione, secondo l’indagine “From the hives” del Centro comune di ricerca (Ccr) della Commissione europea. Il numero assoluto più alto viene fatto registrare dalla Cina (74 per cento), mentre la Turchia ha la percentuale relativa maggiore di campioni sospetti (93 per cento). Il Regno Unito ha registrato un tasso ancora più elevato (100 per cento), forse perché si tratta di miele prodotto in altri Paesi e ulteriormente miscelato prima di essere rispedito in Europa.

Un quadro da tenere sotto controllo, secondo Coldiretti, anche per tutelare la produzione nazionale. L’Italia primeggia in Europa per la biodiversità con 60 varietà. La Sardegna fa naturalmente la sua parte. Qui sono presenti oltre 2.200 apicoltori (più della metà sono hobbisti) che curano oltre 74 mila alveari.

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Nell’Isola sono tante le varietà di miele in crescita. Secondo un’elaborazione di Coldiretti Sardegna sul rapporto dell’Osservatorio nazionale del miele legato all’andamento produttivo e di mercato per il 2022, le maggiori produzioni sono arrivate dal miele di asfodelo ed eucalipto. Proprio sull’asfodelo l’Isola risulta leader in Italia per produzione e il rapporto segnala, diversamente dalla precedente stagione molto negativa, buoni risultati con circa 20-30 chili per alveare. Bene anche il miele di eucalipto con numeri piuttosto eterogenei e rese rilevate su apiari in produzione nelle province di Cagliari, Nuoro, Oristano compresi prevalentemente tra 15 e 25 chili per alveare. Un trend tra i più alti del Paese.

Va molto bene anche il miele di cardo che vede la Sardegna in linea con Puglia e soprattutto Sicilia avendo registrato raccolti di circa 10-12 chili per alveare. Il millefiori primaverile è stato prodotto, in media, per circa 14 chili per alveare con rese variabili comprese tra 6 e 20 chili a seconda delle zone: i dati rilevati riguardano le province di Cagliari, Nuoro, Oristano, Sassari. Nelle zone della Marmilla, della Bassa Ogliastra e del Sarrabus nelle produzioni di millefiori sono confluite anche quelle di agrumi, durate troppo poco a causa delle altissime temperature.

Sul fronte agrumi, anche se gli areali vocati non sono estesi, vengono stimati 10 chili in media per ciascuno. In crescita, anche se con numeri attorno ai 5-7 chili per alveare, il miele di corbezzolo: in questo caso la Sardegna detiene quasi l’esclusiva della produzione.

«La sopravvivenza delle api non è importante solo per loro ma anche per la vita di piante e frutti, dunque, dell’uomo stesso - sottolineano Debora Castangia, delegata Coldiretti Giovani Impresa di Nuoro e Nicola Mette di Oristano - con la loro salvaguardia si aiuta la stessa biodiversità e la salute dell’uomo». Entrambi richiamano l’importanza del miele sardo per sostenere l’economia circolare nei territori «ma anche - spiegano - per garantire la salute alimentare del consumatore, bocciando i mieli che arrivano dall’estero senza tracciabilità e utilizzando quelli dei nostri mercati, come Campagna Amica, che effettua tutti i controlli sui prodotti certificandone la filiera».​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

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