Il volo è roba fine, per pochi. Parte dagli occhi ma i grandi talenti sanno bene che quella distanza appartiene al cuore. Aldo Cantini, più volte campione sardo di bocce e maglia azzurra negli anni Ottanta, era un fuoriclasse. Per il presidente della Federazione italiana bocce di quegli anni, Romano Rizzoli, era il miglior “volista” che conoscesse. E aveva ragione, perché per Aldo Cantini non era tanto importante vincere le partite, quanto regalare spettacolo agli amici e alle persone appassionate di questo sport. Così a quel giocatore innamorato dell’azzardo e del gesto perfetto che meglio disegna la parabola della boccia, il Circolo ricreativo di Arborea, la sua cittadina di origine, ha dedicato un Memorial che si svolgerà dal 2 al 7 aprile.

Arborea, Aldo Cantini al termine di una premiazione (foto concessa)
Arborea, Aldo Cantini al termine di una premiazione (foto concessa)

Arborea, Aldo Cantini al termine di una premiazione (foto concessa)

I RICORDI Annalisa è la seconda delle tre figlie nate dal matrimonio di Aldo Cantini con Vitalia Porcu (era il 1966). Dal papà ha ereditato la stessa passione per le bocce. «Sapeva cogliere le sfide ed era anche un grande stratega. Corretto e leale in campo e con gli avversari». Non lo dice apertamente, Annalisa, ma Aldo Cantini era molto orgoglioso di scendere in campo in coppia con lei, e quando la presentava agli amici poteva anche sorvolare sul fatto che la figlia fosse una professionista con due lauree, ma non sul particolare che avesse la sua stessa passione del gioco. «Lo sport era davvero la sua vita». Per anni il suo compagno di gare in coppia è stato Bruno Veiceschi, del Circolo Arborea. Mentre il suo amico rivale di sempre è stato il grande campione Carlo Farris, della Soms di Oristano. Ed è stato proprio Farris a voler lasciare un toccante commento in un post qualche settimana fa: «Grande Aldo, sei sempre nel mio cuore». Ecco, dove non arrivano altri sport può il mirabile gioco delle bocce, capace di regalare vere emozioni di vita.
 
LA STORIA Questo racconto potrebbe iniziare nel 1934: Mario Cantini e Consilia Lari arrivano in Sardegna. Lasciano la Toscana per iniziare una nuova vita. Con loro c’è anche un bambino di 6 anni, il loro primogenito Omero. «Giunsero qui chiamati da un signore anche lui toscano, Dancona, perché cercavano personale per il lavoro nei vigneti», ricorda Annalisa. «Mio nonno era capo vigna». Come riporta la grande epopea della bonifica che riempie ormai tantissime pagine di storie, la vita in quell’estremo lembo occidentale dell’Isola non era affatto facile. «A Mussolinia trovarono il nulla, mancavano strade, servizi, c’era solo un piccolo centro con una chiesa, Comune, scuole e un negozietto di generi alimentari». Ad accoglierli l’umido, il vento, la malaria. E soprattutto lo sconforto. «Nonna voleva ripartire e ritornare in Toscana. Per molto tempo hanno tenuto vestiti e abiti ancora nelle valigie. Non erano state disfatte perché non riuscivano ad adattarsi alla vita a Mussolinia. Hanno abitato alla strada 13 per circa quindici anni, dove sono nati altri 2 figli, Loriana e papà Aldo». Nel ’43 sono tra gli sfollati che partono dalla Sardegna. Gli eserciti dell’Asse e le informazioni militari ipotizzavano lo sbarco degli Americani nell’Isola. In realtà lo sbarco avvenne in un’altra isola, la Sicilia. La famiglia Cantini decide di ritornare in Toscana. Raggiungono il loro paese e rientrano nella casa in cui avevano abitato prima del viaggio in Sardegna. Ma è solo una parentesi di qualche anno imposta dalla guerra. Al termine del conflitto la famiglia Cantini decide di raggiungere la vecchia Mussolinia di Sardegna diventata ormai Arborea. Tornano nella stessa casa alla strada 13.
«Nonno Mario ha fatto il capo vigna per tutta la sua vita lavorativa spostandosi dalla strada 13 alla strada 27 e poi alla strada 22, sempre come capo vigna. Mio papà ha frequentato dapprima le scuole elementari e poi le scuole media dai Salesiani ad Arborea». Verso i 14-15 anni Aldo svolge diversi lavoretti prima in vigna, nell’enopolio e successivamente come fattorino alla direzione della Società Bonifiche Sarde, quindi passa all’Ersat. «Da giovanissimo ha giocato a calcio per poi appassionarsi al gioco delle bocce quando era già grande. Nel 1967 nasce Alessandra e successivamente Annalisa nel 1970 e Roberta nel 1973. Una famiglia molto unita dove un ruolo fondamentale ha avuto la mamma che ha sempre supportare questa grande passione sportiva del marito.

Arborea, la squadra del Circolo ricreativo bocce, da sinistra in piedi: Boschetto, Rino Veiceschi, Bergo. In basso da sinistra: Bruno Veiceschi e Aldo Cantini
Arborea, la squadra del Circolo ricreativo bocce, da sinistra in piedi: Boschetto, Rino Veiceschi, Bergo. In basso da sinistra: Bruno Veiceschi e Aldo Cantini

Arborea, la squadra del Circolo ricreativo bocce, da sinistra in piedi: Boschetto, Rino Veiceschi, Bergo. In basso da sinistra: Bruno Veiceschi e Aldo Cantini

IN CAMPO «Il gioco delle bocce l’ha portato a girare la Sardegna e l’Italia in campionati sempre più avvincenti dove ha dimostrato il suo valore come giocatore in diverse categorie», riprende la figlia Annalisa. «Ha vinto un’infinità di trofei, molti dei quali sono conservati al circolo Bocce di Arborea, e medaglie d’oro». Grande rispetto per gli avversari e massima correttezza nel gioco. «Da buon sportivo accettava le sconfitte come le vittorie e traeva da queste i giusti insegnanti». Poco prima dei 60 anni però una retinopatia diabetica grave gli fa perdere la vista. Da quel momento per Aldo Cantini finiscono le grandi sfide e le gare spettacolari. Ha continuato a respirare le atmosfere magiche dei campi e a emozionarsi ai suoni familiari di quei voli che vanno a segno. E qualche volta, si racconta, con l’aiuto dei suoi amici che gli dicevano quale era la sistemazione di bocce e boccino, lui provava a ripetere quel gesto leggendario che meglio di tutti traccia la parabola della boccia. Perché è vero che lo sguardo segna l’inizio. Ma è il cuore che guida il volo perfetto.

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