Sentenza storica. Il Consiglio di Stato, il 7 ottobre, ha riscritto il “nesso di causalità”. Ovvero la “prova” che l’esposizione all’uranio impoverito o metalli pesanti abbia provocato patologie tumorali. Una lunga e tragica storia. I malati con le stellette hanno affrontato per anni tribunali e accertamenti. Molti, troppi, non ce l’hanno fatta. Ora cade il muro di gomma: «Non è necessario», si legge nella sentenza, «un riscontro effettivo del nesso eziologico: la legge ha considerato il rapporto di causalità come insito nel tipico rischio professionale, sicché grava sull’Amministrazione l’onere di dare la prova di una specifica genesi extra-lavorativa della patologia». Si ribalta così un percorso di dolore e silenzi: dimostri lo Stato che il tumore di un militare non è collegato alla sua attività. Nel 2018 la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sull’uranio impoverito era arrivata alla stessa conclusione. Parla l’ex presidente Gian Piero Scanu.

Tante vittime, tanto tempo.

«La mia lettura esula dell’aspetto politico: non esistono battaglie impossibili. E nessuno può dire “non affronto questo problema perché tanto non riuscirò a risolverlo”».

Vuol dire che lo ha sentito dai politici?

«La Magistratura ha fatto ciò che la politica non ha voluto fare. Eppure aveva la relazione conclusiva della commissione, le cose messe in maniera esplicita e incontrovertibile».

E scomoda?

«Ha rilevato il nesso di causalità. Dicendolo prima alla politica e poi ai militari, ho sempre pensato che questa fosse l’interlocuzione corretta. Abbiamo dimostrato che quelle condizioni di lavoro comportavano oggettivamente un’esposizione al rischio».

Conclusione forte. In commissione tutti d’accordo?

«La politica ha ignorato la nostra relazione finale. Ha cercato di creare ostacoli alla commissione fino all’ultimo giorno».

Addirittura. Una questione di maggioranza e opposizione?

«Una commissione d’inchiesta non può avere una maggioranza e una minoranza. Chi cerca la verità non può tener conto di un condizionamento di parte. La commissione è stata talmente laica e al di sopra delle parti che il partito che mi aveva espresso allora, il Partito Democratico, tramite il Ministero della Difesa ha cercato fino all’ultimo di impedirmi di presentare quella relazione e poi al momento del voto ha votato a metà».

Mi sta dicendo che l’opposizione era con lei.

«Dico che la relazione è stata approvata grazie ai voti di gran parte dell’opposizione. Quindi la certificazione ulteriore della correttezza del lavoro fatto».

Lavoro corretto, ma commissione ingombrante.

«Abbiamo utilizzato i poteri della magistratura. Ma sempre all’insegna della leale collaborazione. Poi certo, se si presenta qualcuno che vuole goffamente, beffardamente dimostrare cose che non stanno né in cielo né in terra, a quel punto uno diventa “aspro a forza”».

E siamo alle “Ricordanze” di Leopardi. Effettivamente, all’epoca, l’ho sentita anche “aspro a forza”…

«Sì, ma ora che sono fuori dalla politica, quella delle istituzioni, ho cercato di recuperare un po’ di delicatezza».

Tasto interessante. Che ne pensa di questa stagione politica?

«La politica attuale è gerarchizzata. Vengono candidate le persone che sono gradite ai segretari. E per essere graditi, come è capitato a me con Renzi, dovresti fare ciò che ti chiedono. Se poco ti sposti vieni cacciato. È una questione anche etica. Oggi la politica è tiepida perché tiepide sono le persone che la fanno».

Parliamo di riarmo. Affari miliardari.

«Oggi decide il governo insieme al nostro complesso industriale. Negli Stati Uniti un organo parlamentare decide sulla congruità della spesa. Devo comprare cento carri armati? Verifico i costi con una comparazione complessiva. Anche in Italia deve intervenire il Parlamento. C’è una legge in materia che però viene ignorata».

Ma se la Difesa diventa europea si farà un po’ d’ordine…

«Serve. Ma i Paesi, Italia compresa, vogliono mantenere le mani libere, trattare direttamente. Non si usi la geopolitica come scusa per aumentare la spesa».

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