«Conosco la politica, so che gli equilibri cambiano, le esigenze di rappresentatività anche, possono nascere nuove esperienze. Ma esiste una grammatica non scritta di comportamenti e modi che è stata polverizzata da un’operazione di palazzo. E la cosa più fastidiosa è stato il tentativo infantile di scindere le responsabilità fra Consiglio e Giunta».

Christian Solinas, 47 anni, presidente uscente della Regione e segretario del Psd’Az, giura di non avere rimpianti. Con una perfida dolcezza tutta democristiana, rifiuta la logica dei sassolini nelle scarpe tma mette i puntini su ogni i lasciata al vento. La candidatura persa per far posto a Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari; le critiche sull’operato della Giunta; il suo presunto atteggiamento da vorace bradipo amministrativo. Accetta tutte le domande, non fa una piega davanti alle critiche più feroci ma rintuzza con i numeri. «Con i dati non si bluffa».

Sta per fare i bagagli: è triste?

«Sono sereno con la mia coscienza, ho svolto questo ruolo con disciplina e onore. Sono certo che la storia leggerà in modo corretto l’azione di questa Giunta».

Qualche leader nazionale della sua coalizione ha picchiato duro sulla Giunta.

«Provo a rispondere con i fatti. Ho firmato l’accordo sulle entrate più vantaggioso per la Sardegna così come quello sugli accantonamenti. Abbiamo distribuito ai Comuni una valanga di soldi per rallentare davvero lo spopolamento. Abbiamo avuto cento milioni per l’insularità, 400 per il pregresso. Godiamo della compartecipazione al gettito Irpef e Iva. L’Istituto Tagliagambe ha certificato che il reddito medio dei sardi è cresciuto del 10 per cento, terza miglior performance in Italia».

Un successone. Allora perché non l’hanno confermata subito?

«Vorrei prima citare un altro dato importante: Fitch, una delle tre grandi agenzie mondiali, ha confermato per la Regione Sardegna un rating più alto di quello dello Stato a cui appartiene».

Tra le critiche, c’è quella di aver lavorato poco e speso pochissimo.

«Quando sono stato eletto ho pensato di comportarmi come ogni buon padre di famiglia. Anzitutto ho cancellato il disavanzo, per questo chi arriva troverà i conti certificati. Il tema sarà adesso snellire la burocrazia ma è possibile solo perché i bilanci sono in ordine».

L’accusano di non aver avuto una grande Giunta. Qualche impresentabile c’era?

«La composizione di una Giunta è frutto di equilibri politici che vanno oltre le scelte del presidente. Ogni partito designa la propria delegazione e gli assessori sono la proiezione dei gruppi consiliari».

Ma dicono che dalla Giunta arrivasse pochino in Consiglio: siete stati un po’ avari?

«Torniamo ai numeri che vanno oltre le chiacchiere. Questo Consiglio ha prodotto meno leggi dei precedenti mentre la Giunta ha fatto più delibere di chi governava prima di noi. Oppure penso a leggi che partivano da qui con 20 articoli e venivano approvate con cento. Quali sono le grandi riforme che il Consiglio ha fatto di sua iniziativa?».

Per stare alle cifre, non è che lei in Consiglio si sia visto granché.

«Chiedete ai commessi: quante ore ha trascorso Solinas ogni giorno a Villa Devoto? Ho lavorato per sedici ore al giorno. Questa dei lavori rallentati dall’assenza del presidente della Giunta è una lettura folle. L’ordinamento prevede che ci sia un presidente del Consiglio che si occupa della funzione legislativa mentre a me spettava un compito esecutivo. È una falsa rappresentazione della realtà fatta soprattutto dal M5S».

Però dicono che in realtà lei avesse rapporti tutt’altro che malvagi con l’opposizione...

«Ho sempre cercato un dialogo costruttivo pur nella distinzione dei ruoli. Se ritenevo che una proposta fosse utile per la Sardegna, non ne ho mai fatto una questione di colore».

La sanità è stata uno dei suoi punti debolissimi, ne conviene?

«Mi piace ricordare che appena mi sono insediato, abbiamo bandito concorsi per 1867 posti».

E allora perché tutto è andato in malora?

«Perché nel frattempo siamo arrivati al collo di bottiglia di decenni di numero chiuso nelle Facoltà di Medicina. Se cerco cento anestesisti, se ne presentano dieci. Così pure per gli infermieri professionali, i medici di famiglia e via elencando. Oggi le cose sono cambiate ma per vedere i risultati del cambiamento ci vorranno più di dieci anni».

E le liste d’attesa mostruose? Almeno per questo si sente in colpa?

«Segnalo che erano enormi già quando siamo arrivati. E poi magari ci siamo dimenticati che c’è stato il Covid con tutto quello che ha voluto dire».

La consigliera più severa e attenta sul tema della sanità, Desirè Manca del M5S, è anche la più votata.

«Un risultato eccellente, spero che nella nuova Giunta faccia l’assessora alla Sanità per potersene occupare anche da un altro punto di vista. E comunque quando è stata ricoverata ha avuto parole diverse sull’assistenza regionale».

Siete accusati di aver creato posti di sottogoverno con la riforma della sanità e la reintroduzione delle Asl.

«I presunti posti di sottogoverno erano stati conservati anche dall’Ats, che tutti volevano abolire. Il numero delle poltrone non è cambiato. La mia riforma vedeva confermata nell’Ares l’idea della centralizzazione per gli acquisti e poi le aziende locali sul territorio. Peccato che i partiti abbiano fortemente osteggiato l’accentramento che voleva ridurre i costi».

Continuiamo con i presunti poltronifici: avete reintrodotto le province, anche se il Governo vi ha portato davanti alla Consulta.

«E abbiamo vinto, per inciso. La scelta che era stata fatta in precedenza era una mega provincia, da Villasimius a Carloforte, con Carbonia come capoluogo: era normale che per un documento da Muravera si dovesse andare nel Sulcis? E poi si mortificavano le aspettative di territori come il Medio Campidano, l’Ogliastra, la Gallura. Fra l’altro la soppressione delle Province non cancellava le funzioni, le scuole secondarie, la viabilità. Mancava l’impulso politico, questo era l’unico vero cambiamento. Il ragionamento di fondo era la restituzione dell’autonomia».

Ma era stata fatta una battaglia per cancellarle, un referendum.

«È interessante notare che il partito che più di tutti si era speso per l’abolizione ha avuto l’unico commissario politico. Gli altri, scelti dal centrosinistra, sono rimasti gli stessi».

Se si deve appuntare una medaglia sul petto, quale sceglie?

«Senz’altro l’accordo sulle entrate e la legge sulla natalità e contro lo spopolamento. Seicento euro al mese per cinque anni per un figlio, la possibilità di ristrutturare una casa nel centro storico e l’avvio di un’attività con i contributi de minimis non risolvono il problema della fuga dai paesi ma aiutano senz’altro le coppie a restare».

E la legge di cui un po’ si vergogna?

«Fatico a riconoscermi in certi provvedimenti omnibus licenziati dal Consiglio in cui si è persa di vista la generalità che contraddistingue le leggi. Se tutti i consiglieri regionali uscenti e ricandidati hanno visto i voti raddoppiare, vuol dire che hanno potuto dare risposte al territorio».

Da segretario sardista, come sono andate le elezioni?

«Vista la mancata riconferma del governo del centrodestra, è stato un risultato soddisfacente, il secondo migliore da quando c’è l’elezione diretta del presidente. Penso a picchi pazzeschi come Oristano, Paulilatino, Bosa».

Ritiene ancora utile l’accordo con la Lega?

«Non sono l’iniziatore dei rapporti con la Lega, ho solo chiuso un cerchio e una tradizione. L’accordo parte da lontano. Ricordo che quando Bossi approdò per la prima volta in Parlamento, divideva la stanza con Carlo Sanna e si appassionò allo statuto sardista tanto da mutuarlo nella Lega. Abbiamo fatto accordi programmatici, il più antico partito federalista d’Europa con il più grande».

Ma una parte del partito continua a disapprovare.

«Il 17 aprile si terrà il congresso che deciderà la linea politica del prossimo triennio, è quella la sede per discutere. Di certo c’è che la legge liberticida con la soglia nazionale del 4 per cento ci obbliga a fare accordi se vogliamo essere rappresentati».

Torniamo all’inizio: il provvedimento giudiziario che l’ha colpita l’ha messa definitivamente fuori gioco. Ma forse lei era già fuori.

«Tengo per me alcune riflessioni. So però che il centrodestra ha vinto in Sardegna di oltre 40mila voti: significa quindi che il giudizio complessivo sull’operato della Giunta era positivo».

Eppure alcuni dirigenti di centrodestra hanno sparato a palle incatenate sul lavoro della Giunta da subito.

«Avevano letto male i dati, tant’è che poi si sono dovuti rimangiare tutto».

Al posto di Truzzu, avrebbe vinto?

«È un esercizio sterile perché manca la controprova. Avrei spiegato però la necessità di dare continuità a tante azioni amministrative avviate».

Una congiura di palazzo?

«La storia chiarirà perché mentre gli indicatori dell’azione di governo erano tutti positivi, un gruppo di consiglieri ha costruito un’immagine negativa di quel che si faceva».

Un regolamento di conti nazionale tra FdI e Lega, punire Solinas mirando a Salvini?

«Questo non lo so. Ho visto un esercizio muscolare sul chi è più forte che prescindeva dalla bontà dell’operato».

Chi gliel’ha giurata?

«Diciamo che uno troppo indipendente, poco incline ai riti di una certa cagliaritanità, a qualcuno senz’altro è dispiaciuto».

Lorenzo Paolini

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