Oggi è sulla cresta dell’onda, dall’alta cucina al fast-food, passando per le ricette della nonna. Eppure questa posizione di assoluta importanza sulle tavole di tutto il mondo, il nostro tubero se l’è conquistata con un bel po’ di sudore, come racconta il bel libro di Massimo Montanari

La fame e l’abbondanza (Laterza, 2006, Euro 12,00, pp. 262), incentrato su quei cibi come la patata che più di altri hanno inciso sulla storia alimentare e anche sociale ed economica del nostro continente.

Come sappiamo un po’ tutti per averlo appreso a scuola, la patata viene dalle Americhe, più precisamente dalle Ande, dove gli Indios la coltivavano e consumavano da millenni.

Fu uno dei più spietati conquistadores, Francisco Pizarro, tra un massacro e l’altro, a condurla nel nostro continente nel 1535 dove venne guardata con molto sospetto. Per prima cosa era cibo da Indios, che per gli Europei di allora non erano neppure dotati di anima. Figurarsi se c’era da fidarsi di quello che mangiavano. Inoltre della patata nella Bibbia non vi era traccia e quindi meglio morire di fame e aspettare la manna dal cielo.

All’inizio poi molti la mangiavano così com’era, senza cottura, con esiti catastrofici: nel 1565 il re di Spagna Filippo II mandò delle patate in omaggio al papa che le scambiò per tartufi e se le mangiò crude, a morsi. Il disgusto fu unanime alla corte pontificia e si rischiò la crisi diplomatica.

Così per lungo tempo le patate servirono al massimo per gli animali oppure venivano consumate da chi voleva fare penitenza, come i carmelitani scalzi oppure i certosini. O venivano servite per i più poveri e i derelitti negli ospizi e negli ospedali.

UNA MANNA CONTRO LA CARESTIA - Altra usanza pericolosa legata all’ignoranza di fronte a questa novità d’Oltreoceano era quella di consumare le foglie della pianta, molto velenose. Così si diffuse la diceria che la patata fosse un poco stregata e dalle virtù malefiche. Meglio evitarla e tenerla tutt’al più come pianta ornamentale.

Quando però c’è di mezzo la fame le cose cambiano e si deve fare di necessità virtù. Così, quando il destino del nostro povero tubero sembrava essere quello di ingrassare i maiali, venne la Guerra dei Trent’anni (1618-1648) in cui l’Europa si ridusse a un immenso cimitero tra stragi ed epidemie. La patata, resistente e facile da coltivare a tutte le latitudini, divenne l’ancora di salvezza per molti stremati dalla fame, soprattutto in Olanda, Prussia, Inghilterra e Irlanda.

Le carestie divennero così meno frequenti e devastanti grazie a questo prezioso alimento, tanto che quando, tra il 1845 e il 1849, le coltivazioni furono attaccate da una grave malattia e i raccolti andarono persi l’Irlanda conobbe la fame più nera, con centinaia di migliaia di morti.

L'INGRESSO A CORTE - Nell’Europa mediterranea, più raffinata dal punto di vista culinario, il “tubero americano” sfondò più tardi anche se Maria Antonietta di Francia portava i fiori della pianta di patata sul corpetto per propagandare questo alimento così facile da coltivare. Non che quella sovrano fosse poi il veicolo pubblicitario ideale, se si pensa alla fine che il suo popolo le fece fare. Si ricorse allora, alla corte francese, a uno stratagemma suggerito dall’agronomo Antoine Augustin Parmentier.

Il nostro ottenne dal re di coltivare dei campi di proprietà del sovrano a patate e di farli sorvegliare da uomini in armi durante il giorno. Durante la notte venivano lasciati incustoditi e i parigini si “fiondavano” alla scoperta del prezioso raccolto dei campi reali. Se era cosa che coltivavano per il re deve essere per forza una prelibatezza, pensavano tutti.

In effetti, il successo fu enorme tanto che in Francia, nel 1793, si ebbe il primo ricettario completo dedicato alla patata e in Italia a pubblicizzare le qualità del nostro tubero ci pensò addirittura Alessandro Volta nelle pause che gli venivano offerte tra l’invenzione della pila elettrica e i suoi studi sull’elettricità.

Ormai però la strada era segnata: oggi la patata è la quarta coltura al mondo per importanza, dopo il grano, il riso e il mais, ed è considerata dagli esperti l’alimento che più può contribuire a risolvere i problemi di denutrizione nel Terzo mondo.

Niente male per un cibo snobbato per secoli.

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IL LIBRO DI MONTANARI

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