E’ tutto più semplice, dopo.

Dopo gi spari, la morte, il suicidio.

Dopo fa più impressione anche la foto postata su facebook tre anni prima di conoscere la donna dalla quale era ossessionato: una scritta, “I love you”, sulla schiena nuda di un giovane che punta una pistola alla tempia di una ragazza bionda. Quindi la frase cult di Scarface: “Io non dimentico nulla, aspetto solo il momento giusto”.

Amore - che amore non è - e pistola - che pericolo invece è. Dovrebbe bastare per tenersi alla larga: com’è chiaro, dopo.

Prima, invece.

Vanessa Zappalà aveva 26 anni, viveva coi genitori a Trecastastagni, ai piedi dell’Etna: si era diplomata all’istituto tecnico-economico e lavorava in un un panificio. La sua relazione con Antonio Sciuto, 12 anni più grande, separato con due figli di 10 e 5 anni, dipendente di una rivendita d’auto, era iniziata nel maggio 2020 e il 27 febbraio di quest’anno lei aveva detto basta. Aveva sopportato una tremenda sfuriata con calci e pugni nella casa del padre di lei che lo aveva accolto anche se quell’uomo non gli piaceva. Ed era andata avanti per meno di due mesi prima di lasciarlo. “Single”, aveva scritto sul suo profilo Instagram.

E lui non l’aveva presa bene. “Se ti vedo con un altro ti sparo”.

Era davvero troppo. Il padre di Vanessa aveva organizzato un incontro a casa di Antonio alla presenza dei suoi genitori che lo avevano ammonito: “Tony, la storia con Vanessa è finita, devi lasciarla in pace”. Per tutta risposta aveva insultato Vanessa, le aveva addirittura sputato addosso.

Ed era cominciato l’assedio: pedinamenti, appostamenti.

Il padre di Vanessa lo aveva affrontato di nuovo, questa volta da solo. “Mi hanno detto che ha un altro”, aveva risposto. Non aveva nessuno Vanessa, ma non poteva essere questo il punto. Antonino Sciuto aveva urlato: “Tua figlia è menomata”. E il padre lo aveva cacciato via, dopo aver preteso la restituzione delle chiavi di casa.

Ma non si era dato per vinto: aveva un duplicato delle chiavi e la sera si intrufolava a casa della ex, in una sorta di ripostiglio da dove, attraverso il camino, ascoltava le conversazioni di Vanessa con i genitori.

Non si poteva più aspettare. Il padre aveva accompagnato Vanessa nella caserma dei carabinieri e la giovane aveva sporto denuncia per stalking: chiedeva un provvedimento urgente poiché temeva per la sua incolumità e quella dei suoi familiari dato che Sciuto era una persona molto violenta e pericolosa. Le diceva, in dialetto siciliano: “Vai a fare la puttana coi tuoi cugini tanto sempre appresso ti sto”. E poi: “Divertiti con Tik Tok che poi mi diverto io”.

I militari si erano messi subito al lavoro e avevano scoperto che Sciuto aveva sistemato due diversi gps sotto le auto della ragazza e dell’ex suocero. Poche ore ed era scattato l’arresto. Era il 7 giugno. Ma, dopo appena una notte in caserma, aveva ottenuto gli arresti domiciliari. Di più: il 13 giugno era di nuovo libero, col divieto di avvicinamento a meno di duecento metri. E dire che il pm aveva sottolineato il “concreto e attuale pericolo che l’indagato possa insistere nel proprio comportamento illecito”.
Il giudice, però, era stato di diverso avviso: “Si può fare affidamento sullo spontaneo rispetto delle prescrizioni da parte dell’indagato, non gravato da precedenti penali recenti e specifici”.

Il maresciallo della caserma dal canto suo non si fidava e con Vanessa si era tanto raccomandato: “Chiamami in ogni momento, notte e giorno, se c’è bisogno”. Le amiche la imploravano di stare attenta ma lei replicava: “Tranquilla, non mi fa niente, è solo geloso”.

In effetti non lo aveva piu visto, sembrava essersi placato.

Vanessa, fino a ferragosto chiusa in casa per paura di incontrarlo, dal momento che la tregua durava da oltre due mesi aveva pensato di poter ricominciare a vivere, lei che si era tatuata sul braccio sinistro la parola hope, speranza, circondata da allegre farfalle che salivano fino alla spalla. Aveva pure documentato quei momenti di ritrovata normalità su instagram: l’aperitivo in un bar sul mare, insieme ad amiche e amici, di fronte ai faraglioni dove Verga ambientò I Malavoglia.

Non sapeva che Antonino Sciuto stava studiando la vendetta.

L’uomo aveva preso a noleggio una Fiat 500 blu, si era procurato una pistola e più di 30 proiettili. Domenica notte, intorno alle tre, aveva seguito Vanessa su lungomare: la ragazza era in compagnia della cugina, un’amica e due ragazzi. Sciuto si era avvicinato e Vanessa gli aveva intimato di andare via, aveva pure minacciato di chiamare i carabinieri. Aveva continuato a fissarla e allora il gruppo di ragazzi era scappato ma Sciuto era sceso dalla macchina, era riuscito ad afferrare la ex per i capelli e aveva sparato: sei colpi, uno aveva colpito di striscio pure l’amica di Vanessa che, invece, era rimasta esanime a terra.

Il killer era fuggito nelle campagne vicino al paese di Vanessa.  Aveva abbandonato l’auto a circa cento metri dalla cisterna del casolare di uno zio. Aveva afferrato una pietra e con questa aveva inciso sul muro i nomi dei genitori e dei figli. Quindi aveva scritto: “Vi voglio bene, non ci state male”. Neanche una parola per Vanessa.

I carabinieri lo avevano trovato lunedì sera, prima avevano visto l’auto e poco lontano il corpo: Sciuto si era impiccato.  

E’ finita così, e ora tutti sono lì a chiedersi come sia stato possibile, perché nessuno abbia fermato l’assassino.  

Vanessa si era fidata dello Stato ma dallo Stato non è stata protetta.

Non è la prima volta: la cronaca registra decine di femminicidi che si sarebbero potuti evitare. Come? Le leggi ci sono, non bisogna aumentare le pene ma applicare le norme. E’ chiaro che il divieto di avvicinamento non serve a nulla se poi nessuno controlla che lo stalker stia a debita distanza dalla vittima.  Sarebbe utile il braccialetto elettronico ma sembra che non ce ne siano abbastanza e poi c’è il problema che l’indagato deve accettarlo. Certo, basterebbe metterlo davanti a una scelta secca: il braccialetto o il carcere, e il problema del consenso sarebbe risolto. E se dovesse violare il divieto dovrebbe andare dritto in carcere.

Questo presupporrebbe un processo penale molto veloce perché la presunzione di innocenza vale per tutti, e non si può tenere un indagato in custodia cautelare all’infinito.

Questioni annose.

Bisognerebbe lavorare anche su altri fronti, costringendo per esempio lo stalker a frequentare centri specializzati per uomini maltrattanti. Se ne parla da tempo ma evidentemente non abbastanza.

Intanto la strage di donne continua. E tutti noi qui, ogni volta, a farci sempre la stessa domanda: come è stato possibile?

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