Viso rotondo, sguardo allegro sotto le lenti degli occhiali, sorriso largo: Sara Pedri ha 31 anni ed è una ginecologa. E’ nata a Forlì e si è laureata in Medicina e poi specializzata all’Università di Catanzaro. Ha un fidanzato, Guglielmo, che lavora a Cosenza: si sentono per telefono tutte le notti, prima di andare a dormire. Nel novembre 2020 Sara trova lavoro nell’ospedale di Cles, un comune con poco più di settemila abitanti nella provincia di Trento, e prende in affitto un appartamento dove andare a vivere da sola. Quattro giorni prima di prendere servizio le viene però comunicata una novità: è stata assegnata all’ospedale di Trento, reparto di Ginecologia e Ostetricia del Santa Chiara.

Sono gli ultimi mesi del 2020 e il mondo intero è alle prese con la risalita della curva pandemica e si discute di nuove restrizioni che presto diventeranno realtà.

Sara comincia a lavorare e subito si trova davanti a una situazione particolarmente difficile: l’ansia dovuta al clima nel reparto è tale da farle perdere molti chili in pochissimo tempo. Il primario la rimprovera per il repentino dimagrimemto, in realtà il problema è proprio lui. La ginecologa si confida con la sorella e le racconta di come venga offesa, umiliata, svilita. In ospedale le vengono rivolte parole sempre più pesanti che la gettano in uno stato di prostrazione al punto da non riuscire neanche più a tenere il bisturi in mano.

Chiede e ottiene un periodo di congedo per malattia: calo ponderale e stress lavorativo, il certificato medico è di 15 giorni ma rientra in ospedale dopo una settimana perché teme ritorsioni.

Chissà se è a conoscenza dell’azione giudiziaria avviata da sei sue colleghe  (dirigenti e ostetriche) che si sono rivolte a due avvocati per denunciare demansionamenti e mobbing. Nel reparto dove lavora Sara la situazione pare sia insopportabile sotto il profilo umano e professionale a causa di un modus operandi fatto di vessazioni mortificanti che ha già provocato la fuga di 62 dipendenti negli ultimi sei anni.

Sara si trova presto in forte difficiotà. Dice tutto ai suoi familiari che, vedendola particolarmente stressata, le consigliano di andare via.

Ai primi di marzo Sara presenta le dimissioni: scrive una mail nella quale si rivolge al primario definendolo “sovrano illuminato”. Il fidanzato sa tutto: Sara sta vivendo un periodo molto difficile per via dello stress legato al lavoro ed è “molto strano per una donna piena di vita, sempre a tremila”, così la racconta.  Il 3 marzo, come ogni notte, la chiama e Sara gli spiega come si senta sollevata. Con le dimissioni si è tolta un peso.

Sa tutto pure la sorella Manuela che quella sera stessa riceve una telefonata da Sara: anche a lei comunica di essersi dimessa.

La sorella e il fidanzato sono le ultime persone a parlare con Sara. Da quel momento la ginecologa sparisce. Nessuno sa più niente di lei. La sua auto viene ritrovata il giorno dopo, 4 marzo, vicino a un ponte sopra il torrente Noce, in provincia di Trento. Nella macchina c’è il suo cellulare. Di Sara nessuna traccia. Tutto fa pensare a un suicidio.

Il gps della macchina segnala che in quella zona Sara c’è stata una sola volta, in gennaio: c’era andata con una persona che le stava facendo visitare la zona.

Cominciano le ricerche, soprattutto nelle acque del lago di Santa Giustina dove sfocia il torrente Noce. Intanto si scoperchia la vicenda legata all’ospedale dove la ginecologa lavora. La sorella, la madre e il fidanzato riferiscono agli inquirenti e parlano pubblicamente delle difficoltà che l’hanno portata alle dimissioni. A casa vengono trovati gli appunti dove Sara scrive tutto quello che le succede.

Il caso diventa nazionale.

E nessuno tace più. Una collega di Sara, parlando di sé, in tv pronuncia queste parole: “Pur di non andare lì, avrei preferito avere un incidente. Non ho mai desiderato suicidarmi, ma ti giuro su Dio che ogni volta che andavo a lavorare pregavo Dio di fare un incidente, rompermi le gambe, rimanere paralizzata e rimanere a casa per sempre. Ti fanno lavorare per tre, ti ammazzano di lavoro”.

Parte un’inchiesta penale, la magistratura analizza i dati contenuti nel telefonino della ginecologa, c’è da capire anche se sia vero che Sara è stata schiaffeggiata sulle mani mentre aveva in mano un bisturi e poi allontanata in malo modo dalla sala operatoria. 

Intanto l’azienda sanitaria avvia un’indagine interna che raccoglie le testimonianze di centodieci persone e fa un’analisi dei turni e la verifica di mail e documenti. Durante le audizioni una persona dice: “La condotta basata su atteggiamenti spesso vessatori ha creato in me, come in tanti altri, una profonda sofferenza. Capitavano anche insulti e minacce. A un’infermiera ho sentito dire: io ti rovino”.

Una dottoressa riferisce alla commissione che da anni si vive un clima di sofferenza legato ai metodi autoritari, atteggiamenti che sono andati inasprendosi insieme a turni sfiancanti, scatti d’ira, umiliazioni. Alcune persone – dice - sono state prese di mira e ne è seguito anche un demansionamento.

Al centro di tutto ci sono i comportamenti del primario, che lavora in quell’ospedale da 11 anni, e di una dirigente.

L’azienda sanitaria trentina trova riscontri alle dichiarazioni dei numerosi testimoni e parla di “fatti oggettivi, situazione di reparto critica, sistema punitivo”. Così dispone l’immediato trasferimento di primario e dirigente “al fine”, si legge nel provvedimento, “di tutelare la serenità delle pazienti, degli operatori coinvolti, e a salvaguardia del buon funzionamento del reparto”.

Una terza indagine viene aperta dall’Ordine dei medici.

e’ un terremoto che porta alle dimissioni del direttore sanitario, ossia colui che ha rinnovato l’incarico al primario fino al 2025 quando il caso stava scoppiando.

Il primario trasferito però non prende servizio nella nuova sede ma va subito in ferie, e questo, secondo la sorella di Sara, è un modo per opporsi alla decisione della commissione interna.

Intanto la madre difende la memoria della figlia sul settimanale Giallo. “Scrivo perché non posso più tacere di fronte al tentativo di offrire un’immagine distorta e non veritiera di mia figlia. Sara non è fragile e la sua storia ne è una lampante dimostrazione.  Pregate perché il suo sacrificio non sia vano e possa allontanarsi per sempre dalla mente umana e dalle coscienze la mancanza di rispetto. La verità su mia figlia deve essere affermata”.

Il direttore generale dell’azienda sanitaria dice che “in questi anni non erano mai state  registrate segnalazioni oggettive, elementi che invece sono emersi ora con le  audizioni della commissione”. L’impegno è quello di “vigilare non solo sulle segnalazioni fatte ma anche su quelle non ancora fatte in maniera oggettiva”.

Nel frattempo Sara non si trova.

Le ricerche nel lago, continuano, per ora senza esito.

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