«Il mio gesto è dovuto alla totale inadeguatezza che ancora incredibilmente sopravvive in certi istituti, come le case lavoro, che dovrebbero tendere a ri-socializzare e reinserire con il lavoro», ma che «in realtà sono recipiente di coloro che hanno problemi psichiatrici e che non hanno posto nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza».

Così Elia Del Grande, il 50enne di Cadrezzate (Varese) che nel 1998 aveva ucciso i suoi familiari e che nei giorni scorsi, dopo aver scontato oltre 25 anni di carcere ed essere stato destinato appunto a una casa lavoro in Emilia, si è reso irreperibile e dunque ora è un ricercato.

Del Grande ha inviato via mail una lettera al giornale locale Varese News, per spiegare i motivi del suo allontanamento. 

Secondo indiscrezioni riportate dal Resto del Carlino, si troverebbe in una località segreta assieme alla compagna, una donna di origine sarda, che gli aveva fatto visita poco prima della fuga e per questo le ricerche si sono concentrate da subito anche nell’Isola, dove proseguono rigorosi i controlli nei porti e e negli aeroporti.

«Mi sono trovato – prosegue Del Grande – ad avere a che fare ogni giorno con gente con serie patologie psichiatriche, la terapia chiaramente psicofarmaco, viene data in dosi massicce a chiunque senza problemi. L’attività lavorativa esistente è identica a quella dei regimi carcerari. Le case di lavoro oggi sono delle carceri effettive in piena regola con sbarre cancelli e polizia penitenziaria, orari cadenzati, regole e doveri. Con la piccola differenza che chi è sottoposto alla casa di lavoro non è un detenuto, bensì un internato, ovvero né detenuto né libero».

Ancora, continua Del Grande, «avevo ripreso in mano la mia vita, ottenendo con sacrificio un ottimo lavoro dando tutto me stesso in quel lavoro che oggi mi hanno fatto perdere senza il minimo scrupolo, mi riferisco alla magistratura di sorveglianza, avevo ritrovato una compagna un equilibrio i pranzi le cene il pagare le bollette le regole della società, tutto questo svanito nel nulla per la decisione di un magistrato di Sorveglianza, che mi ha nuovamente rinchiuso facendomi fare almeno mille passi indietro riproponendomi soltanto la realtà repressiva carceraria, anzi quella delle case lavoro è ben peggio, ci sono persone all’interno che sono entrate per sei mesi e avendo l’unica colpa di non avere una dimora e una famiglia, si trovano internate da 4/5 anni, in un Paese civile e al passo con le regole europee, questo non dovrebbe più esistere, difatti l’Italia è l’unico paese in tutta Europa che adotta le misure di sicurezza».

«Ci tengo a precisare – continua la lettera – che io da questo paese sono stato condannato ad anni 30 di reclusione, effettivamente ne ho scontati 26 e 4 mesi e non sono stato condannato a galera in più, e invece grazie a questo articolo di legge risalente a Mussolini ancora in essere dal nostro codice penale mi sono ritrovato nuovamente peggio di un detenuto. Mi sono visto crollare il mondo addosso, ho visto perdere tutto ho visto non considerato il mio impegno lavorativo, ho visto non considerato il mio percorso di reinserimento durato due anni e mezzo dall’atto del mio ritorno in libertà, oggi tutte le cronache mi definiscono come il serial killer, il pazzo assassino che è sfuggito senza la minima remora e controllo, additandomi di tutte le cose del passato senza informarsi prima su cosa ho fatto da quando sono stato scarcerato il 16 luglio 2023, questo e molto altro mi hanno spinto a provare il tutto per tutto pur di uscire da quella situazione alla quale non riuscivo assolutamente ad abituarmi».

Del Grande conclude spiegando che la sua «non è un evasione e non vi è una realtà penale perseguibile ma che è solo un semplice allontanamento ma probabilmente pago ancora fortemente lo scotto del mio nome e di ciò che ho commesso. Mi ritengo amareggiato perché vorrà dire che qualsiasi pena uno possa pagare in questo Paese, comunque tu rimarrai sempre la persona responsabile del gesto commesso».

(Unioneonline)

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