Una bomba di 500 chili che sventra un’autostrada. Un’immagine ancora oggi, a 32 anni di distanza, indelebile per chi ha vissuto quell’epoca.

23 maggio 1992, ore 17.57. La strage di Capaci, un attentato terroristico-mafioso che fece saltare in aria l’auto del giudice antimafia Giovanni Falcone e le vetture della sua scorta.

Un’esplosione devastante che non lasciò scampo al magistrato, a sua moglie Francesca Morvillo e a tre agenti della scorta, Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Altri cinque rimasero feriti.

Un vero e proprio atto di guerra di Cosa Nostra. Una sfida allo Stato e a quei magistrati che stavano tagliando le gambe allo strapotere dei boss siciliani. Una strage organizzata dal capo dei capi Totò Riina dopo che la Cassazione, a gennaio 1992, aveva confermato gli ergastoli nel maxi processo di Palermo.

Una carneficina che si ripeterà due mesi dopo, a luglio, mettendo fine alla vita dell’altro giudice istruttore del maxi processo, nonché amico fraterno di Falcone. Parliamo di Paolo Borsellino, assassinato nella strage di via D’Amelio, in cui perse la vita anche la poliziotta di Sestu Emanuela Loi.

(Unioneonline/L)

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