Un po’ più di 3.500 gigawattora esportati, perché alla Sardegna non servono. Frugando nei numeri, per nulla segreti, si trovano già oggi i segni del colonialismo energetico, a cui l’assalto delle rinnovabili sta facendo da cassa di risonanza per via di un surplus elettrico destinato a diventare abnorme.

Il risultato è un’Isola, la nostra, sempre più ciabatta energetica d’Italia. «Col rischio – sottolinea l’ingegnere industriale Giovanni Cossu – di pagare il prezzo altissimo della devastazione ambientale».

Il dato di partenza è proprio la differenza tra la produzione lorda attuale e i consumi. La prima vale 12.563,1 gigawattora. Così divisi: 8.621,6 derivanti dal termoelettrico; 1.935,6 dall’eolico; 1.520,9 dal solare; 483,5 dall’idroelettrico; 1,5 da impianti di accumulo. Ma i sardi e le industrie, tutti insieme, hanno un fabbisogno che si ferma a 7.636,9 gigawattora. Ai 3.508,3 che finiscono fuori dalla Sardegna si arriva con tutta una serie di sottrazioni. Tra cui i 507,8 gigawattora di perdite. Il risultato, però, non cambia: l’export di energia è pari al 27,92% della quantità prodotta.

Tutti i dettagli nell’articolo di Alessandra Carta su L’Unione Sarda in edicola e sull’app.

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