La richiesta all'istituto di Medicina legale è stata già inoltrata: la Procura vuole sapere se nell'edificio di via Porcell a Cagliari siano ancora custoditi i reperti sui quali erano state eseguite le analisi per risalire alle cause della morte di Emanuele Costa, il pensionato 79enne trovato senza vita nel suo appartamento di via Donizetti il 3 febbraio 1990.

L'uomo, questa la ricostruzione giudiziaria, era stato ucciso da uno spavento risultato fatale al suo cuore. Il colpevole, condannato in via definitiva a 12 anni per omicidio preterintenzionale, era stato individuato in Pino Costa, radiotecnico 41enne nipote della vittima. In base alle ricostruzioni investigative, aveva bussato alla porta dell'abitazione dello zio il 31 gennaio, aveva colpito l'anziano parente con un pugno, era entrato, aveva rovistato nelle stanze e prelevato i gioielli per poi fuggire. Il colpo secondo l'autopsia non era stato fatale ma il cuore non aveva retto allo spavento.

L'imputato si era sempre professato innocente ma è morto nel 2005 da colpevole. Ora il figlio Carlo ha presentato alla Corte d'assise cagliaritana un'istanza nella quale chiede la possibilità di accedere ai reperti istologici. Vorrebbe sottoporli a un'analisi approfondita servendosi della tecnologia attuale, più avanzata rispetto a quella di trent'anni fa. La speranza è dimostrare come la morte dell'ex dipendente civile della Marina militare sia stata provocata da un infarto slegato dall'aggressione. Non ci sarebbe un rapporto di causalità tra il colpo e il decesso. Un passo che, nelle intenzioni, in seguito dovrebbe portare alla revisione del processo e alla riabilitazione del padre.

Oggi in Assise a Cagliari il pm ha fatto presente dell'avvenuta richiesta all'istituto di medicina legale, poi il presidente della Corte ha aggiornato l'udienza a novembre in attesa della risposta. Dalla quale potrebbe dipendere il futuro di un caso che, in quegli anni, aveva visto comparire anche un falso colpevole.

Sei mesi dopo l'arresto di Pino Costa, il tossicodipendente Massimo Tolu, ospite di una comunità, confessò a un sacerdote di essere il vero responsabile del delitto. Disse di essere stato imbeccato da un amico, Omero Etzi, la cui compagna aveva lavorato come colf dal pensionato. Dopo il colpo era fuggito in Inghilterra, non sapeva che la vittima fosse morta. Voleva rimediare. Costa venne scarcerato il 12 marzo 1993.

Poi si scoprì che per quella ammissione il reo confesso aveva avuto dieci milioni di lire e che Tolu il giorno del delitto era in Gran Bretagna. Così Costa tornò in cella, il processo di revisione non si fece, Etzi e Tolu furono condannati per calunnia ed autocalunnia.
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