Una legge-moratoria nata per essere impugnata, incuneata nelle materie palesemente esclusive dello Stato o concorrenti con le Regioni, fondata su norme in palese contrasto con quelle del Decreto Draghi che la stessa Regione dichiarava apertamente di voler attuare. Una contraddizione evidente, quasi voluta, una legge che, alla luce del ricorso depositato dall’Avvocatura statale alla Corte Costituzionale, sembra essere stata scritta con il chiaro intento di farsela impugnare.

Moratoria vietata

Per gli Avvocati dello Stato è quasi una passeggiata richiamare i punti chiave della legge regionale sarda, a partire dal contrasto sulla “moratoria” esplicitamente vietata dal decreto Draghi. È in questo primo passaggio, ribadito da cima a fondo del ricorso statale, che la legge regionale regala un vero e proprio calcio di rigore allo Stato. Nel famigerato provvedimento legislativo del “banchiere d’Europa”, diventato premier grazie alle trame dei Palazzi di Roma e dei potenti, al comma sei dell’articolo 20 del cosiddetto «Decreto Draghi» c’è scritto esplicitamente: «Nelle more dell'individuazione delle aree idonee, non possono essere disposte moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di autorizzazione».

Regione e autogol

Cosa fa la Regione sarda? Anziché proporre un provvedimento chiaro, esplicito, fondato sulle competenze primarie dello Statuto, per esempio come l’urbanistica, approva una norma in cui prevede una moratoria, senza alcun effetto concreto, per la bellezza di ben 18 mesi. Il ricorso dello Stato segna a porta vuota: «La disposta moratoria per 18 mesi costituisce una violazione certa del principio generale che la Regione avrebbe dovuto certamente rispettare».

«Violazione certa»

È questo uno dei passaggi chiave delle ventotto pagine di ricorso in cui i Principi del Foro di Palazzo Chigi adottano la definizione «violazione certa». In effetti, sin dal primo momento in cui la moratoria era stata proposta, più d’uno aveva fatto rilevare che si trattava palesemente di un clamoroso fallo di mano in area di rigore. Un “autogol” che avrebbe certamente portato all’impugnativa statale. Del resto, parlare di valore “politico” dell’impugnativa, ovvero di una decisione della Meloni di ricorrere contro la legge con l’intento di fare un “dispetto” alla maggioranza opposta alla sua in Regione, significa non conoscere la realtà dei fatti: si è trattato di uno “strafalcione” giuridico senza appello, un autogol che anche un neofita del diritto avrebbe evitato. Un epilogo che in viale Trento non potevano non sapere, visto che il vertice amministrativo della Regione, il Segretario Generale, il calabrese Saverio Lo Russo, prima di sbarcare in Sardegna era uno dei capisaldi proprio dell’ufficio che a Palazzo Chigi si occupava delle impugnative delle leggi regionali.

Sanpietrini & burocrati

Del resto, lo sanno anche i “sanpietrini” di Piazza Colonna a Roma: a proporre il ricorso sono sempre i gangli burocratico-legali dello Stato. Il più delle volte, il Consiglio dei Ministri, come in questo caso, quando le violazioni sono esplicite, si adegua senza fiatare. Insomma, la Regione ha fornito un “assist” perfetto al Governo, un’impugnazione “servita” su un piatto d’argento. Lo stesso vale per il secondo macro motivo dell’impugnativa: la competenza “esclusiva” dello Stato in materia di ordinamento comunitario. Lo sapevano tutti che bisognava stare alla larga dalle disposizioni europee, tenerle a distanza per evitare di incorrere nella “supremazia” comunitaria. Invece no, la Regione ci si ficca dentro senza ritegno.

Autogol europeo

La legge-moratoria, infatti, decide di richiamare esplicitamente «l’attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 1° dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili». L’ennesima disposizione che suggerisce allo Stato dove “segnare”, anche in questo caso a porta vuota. Scrivono i togati dell’Avvocatura statale: «Inoltre, poiché la disciplina statale di riferimento è di derivazione eurounitaria si evidenzia, altresì, la violazione dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione, secondo cui "la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Il colpo più duro, però, è quello relativo alle disposizioni sulle «aree idonee». Nell’impugnativa del Governo viene esplicitato quello che, invece, la Regione tenta in tutti i modi di nascondere: «le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile...».

La farsa delle aree idonee

Esplicitano i togati di Roma: «Ciò conferma che, ai sensi dei citati articoli, anche l'area "non idonea" è, a ben vedere, compatibile con l'installazione dei suddetti impianti». Insomma, per il Decreto Draghi è esplicito il fatto che, anche definendo le aree idonee, come prevede di fare la legge regionale, recependo il decreto “Pichetto Fratin” varato dal Governo a giugno 2024, con l’intesa formale della Regione sarda, tutte le aree, comprese quelle non idonee, potranno essere «compatibili» con l’installazione di pale e pannelli. Se i “macro-strafalcioni” della legge regionale sono i punti essenziali dell’impugnativa dello Stato, non passano, però, inosservate le contraddizioni esplicite del Governo. Prima di tutto sull’affermazione contenuta nel ricorso con la quale si afferma perentoriamente che «il quadro normativo statale, non ammette, in maniera chiara, divieti o moratorie di sorta». Se è vero che la normativa statale dichiara apertamente che non possono esserci «moratorie», non altrettanto si può affermare per i «divieti». È falso, infatti, affermare che il quadro normativo non ammette divieti, per il semplice motivo che è lo stesso Governo Meloni, a quadro legislativo vigente, ad aver introdotto divieti di natura “urbanistica” per il fotovoltaico nelle zone agricole.

Toghe distratte

Avvocati dello Stato che, a proposito di “divieti vietati”, si contraddicono nel giro di venti righe e scrivono: «A conferma di ciò, l'unico divieto di installazione di impianti FER attualmente vigente è quello contenuto al comma 1-bis dell'articolo 20, introdotto ad opera dell'articolo 5 del decreto-legge n. 63 del 2024, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2024, n. 101». E quale sarebbe questo divieto? Lo scrivono loro stessi: «tale divieto non presente nella formulazione originaria dell'articolo 20 in parola, è circoscritto a specifiche tipologie di impianti (di produzione di energia elettrica da fonte solare con moduli a terra) ubicati in determinate aree (zone classificate agricole dai piani urbanistici)». Un’affermazione che smentisce, esplicitamente, l’assunto secondo il quale lo Stato non ammette divieti in tema di rinnovabili.

Norma urbanistica

È stato, infatti, lo stesso Governo Meloni ad introdurre un «divieto urbanistico» esplicito in materia di energie rinnovabili. E quel che è più rilevante è il fatto che sono stati gli stessi avvocati di Palazzo Chigi ad ammetterlo: il divieto ricade nelle «zone classificate agricole dai piani urbanistici». Un richiamo, quello della «norma urbanistica», che rappresenta la conferma che lo Stato ha approvato, con un decreto convertito in legge, “un divieto urbanistico” per il fotovoltaico a terra valido in tutte le “Regioni ordinarie”, ma che non può valere per la Sardegna visto che, con l’art.3 lettera “f” dello Statuto, ha competenza primaria in materia urbanistica. A ribadirlo, nonostante il vuoto di memoria delle toghe di Palazzo Chigi, era stata la stessa Corte Costituzionale che, lo scorso 7 giugno, pronunciandosi in tal senso, aveva stabilito che, in materia di “rinnovabili”, la Regione Sardegna poteva legiferare sia su “urbanistica” che su “usi civici”.

Pratobello rafforzata

Si tratta di un’ulteriore involontaria ammissione statale del potenziale normativo dello Statuto sardo che rafforza non poco l’impostazione “urbanistica” proprio della “Legge Pratobello”. Gli Avvocati dello Stato, infine, si “dilettano” a sconfessare anche la parte della legge-moratoria relativa al presunto blocco delle procedure autorizzative. Lo fanno, appunto, per diletto, ben sapendo che tutti procedimenti statali stanno andando avanti e che nulla la moratoria regionale sta bloccando. In questo passaggio del ricorso, però, i “Principi del Foro” statale incappano nell’ennesimo vuoto di memoria. Nel ricorso affermano: non possono essere fermate le procedure avanzate e tantomeno le autorizzazioni già rilasciate.

Rigori & smemorati

Peccato che, anche in questo caso, dimenticano quello che lo scorso anno ha approvato il Parlamento con una legge con la quale sono state «annullate» tutte le procedure autorizzative e le stesse autorizzazioni rilasciate relativamente agli impianti eolici nelle aree intorno al progetto dell’Einstein Telescope di Lula. Certo, ci sono gli autogol della Regione, ma dal ricorso emerge sempre più uno Stato arrogante e smemorato. Gli affaristi, le lobby e gli speculatori, per ora, vanno avanti.

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