La Fibromialgia, quando il dolore va dalla testa ai piedi
Ne parla il professor Alberto Cauli, direttore della reumatologia del Policlinico Duilio CasulaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«La Fibromialgia o Sindrome fibromialgica viene definita della Società italiana di Reumatologia come una condizione caratterizzata dal dolore muscolo-scheletrico diffuso, dalla fatica e dall’astenia spossante sia fisica che mentale, dalle alterazioni del ritmo sonno-veglia e dal sonno non ristoratore con frequenti risvegli notturni, da sintomi funzionali tra i quali la secchezza delle mucose, la cefalea, l’intestino irritabile e dolori addominali, ipersensibilità alla luce, ai rumori». La definizione è riportata dal professor Alberto Cauli, direttore della reumatologia del Policlinico Duilio Casula, ospite di “15 minuti con…”, il talk sulla salute dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari, in collaborazione con il gruppo Unione Sarda, condotto dal giornalista Fabrizio Meloni, responsabile Comunicazione e relazioni esterne dell’Aou.
«Oltre al dolore artro-mialgico, che domina il quadro e che il paziente descrive come presente nel corpo “dalla testa ai piedi”, non facilmente localizzabile e attribuibile a cute, muscoli, scheletro o organi interni, spesso con parestesie riferite ai quattro arti, si accompagnano frequentemente sintomi neurocognitivi», spiega Cauli, «come difficoltà a concentrarsi e deficit di memoria, e sintomi di ambito psichiatrico come l’ansia, la depressione e disturbi da stress post traumatico. La diagnosi è prettamente clinica, basata sui sintomi riferiti dal paziente e dalla presenza di punti del corpo doloranti alla pressione e definiti tender points. Un grosso limite è costituito dall’assenza di esami di laboratorio o strumentali specifici, pertanto le indagini che si effettuano mirano all’esclusione di diagnosi alternative».
«La Fibromialgia, che compromette le normali attività quotidiane e della vita sociale, e che riduce le capacità lavorative», aggiunge il medico, «rappresenta la terza malattia di ambito reumatologico per frequenza nella popolazione e si stima che costituisca circa il 15% delle diagnosi che vengono formulate negli ambulatori di medicina generale. La prevalenza della Fibromialgia nella popolazione italiana è stimata tra il 2% e l’8%, mentre l’incidenza si aggira intorno ai 7-11 nuovi casi ogni 1000 abitanti per anno. Queste statistiche variano a seconda dei criteri diagnostici più o meno sensibili che si applicano, ma in tutte le casistiche risultano colpite con una frequenza maggiore le donne rispetto agli uomini, che in verità presentano la sindrome non solo con minor frequenza ma soprattutto con minor gravità e intensità dei sintomi manifestati, fatto che viene generalmente attribuito alle differenze ormonali e al loro ruolo nella modulazione del dolore».
«Le cause precise della malattia non sono note», sottolinea Cauli, «tuttavia gli studiosi concordano sul fatto che in presenza di una predisposizione genetica alcuni individui sviluppino un’alterazione dei meccanismi di controllo della regolazione del sintomo del dolore a livello di sistema nervoso centrale. In particolare, si ritiene che l’alterazione principale consista in una disfunzione dei neurocircuiti deputati alla percezione, alla trasmissione e alla processazione dello stimolo nocicettivo periferico».
«Le linee guida terapeutiche nazionali e internazionali», prosegue il reumatologo, «prevedono l’utilizzo di farmaci appartenenti alle classi degli analgesici (anche oppioidi), degli anticonvulsivanti, degli anti-depressivi, dei miorilassanti e dei cannabinoidi. Contestualmente alla terapia farmacologica devono essere implementate pratiche o procedure quali la terapia fisica aerobica, inizialmente sotto supervisione e in seguito libera, terapie cognitive comportamentali, approcci non convenzionali come l’agopuntura e approcci meditativi come lo joga. Il ruolo attivo del paziente è fondamentale per il successo delle terapie sopra riassunte che si basano sui quattro pilastri rappresentati dalla farmacoterapia, dalla psicoterapia, dall’esercizio fisico e dalla consapevolezza alla malattia da parte del paziente».
Luca Mirarchi