Jerry Smith a Burcei: “L’amore dei fratelli ha cambiato per sempre la mia vita”
Era stato adottato negli Usa, per Pasqua è tornato nella casa della madre Marietta
La vita può ricominciare a settant’anni. Jerry Smith ne è la prova vivente e lo racconta con un misto di gioia ed emozione. «Ero appena andato in pensione, con mia moglie Tammy non abbiamo figli, la nostra esistenza trascorreva nel Colorado, Stati Uniti, senza sussulti. Io sapevo di essere stato adottato, la mia madre americana non l’ha mai nascosto né a me né agli altri due fratelli. Mi sono deciso a venire in Sardegna perché nel certificato di battesimo si faceva cenno a una chiesa, San Giacomo di Burcei. La chiesa non l’ho trovata, anche perché non esiste in paese una parrocchia dedicata a San Giacomo. Ho trovato la mia famiglia. Mia madre Maria non c’è più, ma ci sono i miei quattro fratelli, i nipoti: la vita adesso ha un’altra luce».
L’inaspettato e bellissimo regalo, conoscere i suoi parenti di Burcei, Jerry lo ha ricevuto il giorno del suo settantesimo compleanno, il 21 ottobre scorso. In questi giorni Jerry e la moglie Tammy sono tornati in paese per la Pasqua.
Jerry, è ritornato a Burcei per restarci?
«No, per il momento non è possibile. Ho proprietà e interessi negli Stati Uniti. Ma sto cercando una casa a Burcei, conto di trascorrere sei mesi all’anno in Colorado e il resto in Sardegna».
Ha qualche ricordo di quando era bambino?
«Ho riconosciuto l’orfanotrofio di Cagliari dove sono rimasto sino all’età di 4 anni e mezzo. Era vicino alla chiesa di San Giacomo, zona Villanova. Ho due flash nella mia mente: innanzitutto che il responsabile della mia condizione di minore senza genitori era un medico. E ho l’immagine di una suora che mi protegge con una sorta di tendina dalla pioggia. Poi il buio».
Ricorda il viaggio dall’Italia agli Stati Uniti?
«Poco, ero piccolo. Ho però ancora il passaporto: l’ostetrica mi aveva denunciato all’anagrafe come Silvestro Silvestro, nel documento c’è anche il titolo del progetto di aiuto umanitario in base al quale sono stato adottato nel 1956».
Aveva mai pensato di cercare la sua vera madre?
«Sinceramente no, per un debito di riconoscenza verso i miei genitori statunitensi che hanno adottato me e anche altri due fratelli. Ci hanno dato una casa, la possibilità di studiare, io ho lavorato come psicologo, soprattutto tanto amore».
Poi quel viaggio, a ottobre.
«I miei genitori adottivi non ci sono più, anche mia moglie è in pensione, abbiamo deciso di trascorrere un mese in Italia, c’eravamo stati altre quattro volte. Ultima tappa a Burcei. Grazie al titolare di un B&B di Cagliari, Marco, ho cominciato questa ricerca, mi sono presentato in Municipio, l’impiegata mi ha visto e ha subito capito chi fossi perché qualcuno conosceva a Burcei la storia del primo figlio di Maria Muccelli, per tutti tzia Marietta».
Quale?
«Che l’ostetrica dopo il parto mi ha portato all’orfanotrofio di Cagliari».
Ha chiesto altre notizie di sua madre?
«Sì, a tutti quelli che ho conosciuto. Tutti mi hanno detto che era una bellissima persona, una brava donna, laboriosa e dolce. Io poi ho saputo che Marietta si era presentata all’orfanotrofio, voleva riprendermi: erano passati solo due giorni dalla mia nascita, le dissero che non c’ero più. Sono anche venuto a sapere che mia mamma non mi ha mai dimenticato, che era in pena non avendo avuto più mie notizie».
Dal Municipio le hanno detto che aveva quattro fratelli.
«Sì, ma in un primo momento mi sono preoccupato. I miei due fratelli negli Usa avevano cercato le famiglie d’origine, una in Nord Italia, l’altra in Messico, le avevano trovate ed erano stati rifiutati: porta in faccia e neanche un saluto».
Invece a Burcei.
«È stato bellissimo. Isidoro, Luigia, Graziella e Paolo mi hanno accolto come se ci fossimo conosciuti da sempre. Con affetto e generosità. Paolo mi ha messo a disposizione una parte di casa sua, quella dove abitava mamma Marietta, e la sto rimettendo a posto. Due nipoti verranno a trovarci negli Stati Uniti e con mia moglie le aiuteremo a cercare un’opportunità di lavoro. Sì, mi hanno cambiato la vita».
Vorrebbe sapere chi è suo padre?
«No, non importa».
Ha portato un fiore sulla tomba di sua madre.
«Sì».
Cosa le ha detto?
(in lacrime) «Grazie per aver preso la decisione più difficile, rinunciare a me. Voglio che tu sappia che ho avuto una bella vita. Ti voglio tanto bene».
Paolo Carta