Al Sud e nelle Isole il numero delle pensioni erogate è nettamente superiore a quello dei lavoratori. Lo rileva un report elaborato dal Centro Studi della Cgia di Mestre, su dati 2024.

Nel dossier viene evidenziato che nel Mezzogiorno d’Italia, a fronte di 7,3 milioni pensioni pagate gli occupati sono poco più di 6,4 milioni. La regione con il disallineamento più marcato è la Puglia con un saldo negativo pari a 231.700 unità. La Sardegna non fa eccezione, con 655.506 pensioni erogate e 591.938 occupati e, dunque, un saldo negativo di -63.568 unità. 

Ad eccezione di Liguria, Umbria e Marche, invece, le regioni del Centro-Nord mantengono invece un saldo positivo che si è rafforzato, grazie al buon andamento dell'occupazione avvenuto negli ultimi 2/3 anni. Dalla differenza tra i contribuenti attivi (lavoratori) e gli assegni erogati ai pensionati, spicca, sempre nel 2024, il risultato della Lombardia (+803.180), del Veneto (+395.338), del Lazio (+377.868), dell'Emilia Romagna (+227.710) e della Toscana (+184.266).

Delle 107 province d’Italia monitorate da Cgia, solo 59 presentano un saldo positivo: tra queste c’è quella di Cagliari (+14.014, dalla differenza tra i 171.330 occupati e i 157.316 percettori di pensione).

Tutte le altre province della Sardegna presentano invece un saldo negativo: Sassari -6.611 (189.362 pensioni, 182.751 occupati), Oristano -16.002 (71.260 pensioni – 55.258 occupati), Nuoro -21.801 (91.173 pensioni – 69.372 occupati), Sud Sardegna -33.168 (146.395 pensioni - 113.227 occupati).

Il report Cgia rileva anche che la Sardegna, dopo la Basilicata, è la regione con l'indice di anzianità dei dipendenti privati più alto, pari a 82,2: significa che ogni 100 dipendenti al di sotto dei 35 anni, ve ne sono 82 che hanno oltre 55 anni.

«Con sempre più pensionati e un numero di occupati che, tendenzialmente, dovrebbe rimanere stabile - tira le somme la Cgia di Mestre - nei prossimi anni la spesa pubblica è destinata a crescere. E nel giro di poco tempo queste dinamiche potrebbero compromettere l'equilibrio dei conti pubblici e la stabilità economica e sociale dell'Italia».

Secondo la confederazione artigiana, per frenare questa tendenza è fondamentale «ampliare la base occupazionale, facendo emergere i tanti lavoratori in nero presenti nel Paese, incrementando, in particolare, i tassi di occupazione dei giovani e delle donne che, in Italia, restano tra i più bassi d'Europa».

«Nel breve periodo - sottolinea ancora la Cgia - purtroppo la situazione è destinata a peggiorare, anche al Centro-Nord. Tra il 2025 e il 2029, infatti, si stima che poco più di 3 milioni di italiani lasceranno il posto di lavoro. Di questi ultimi, infatti, 2.244.700 (il 74% circa del totale) riguarderanno persone che lavorano nelle regioni centro settentrionali. Nel giro di qualche anno ci sarà una vera e propria "fuga" da scrivanie e catene di montaggio, con milioni di persone che passeranno dal mondo del lavoro all'inattività con conseguenze sociali, economiche ed occupazionali di portata storica per l'Italia. Lo sanno bene gli imprenditori che già adesso faticano a trovare personale disponibile a recarsi in fabbrica o in cantiere. Figuriamoci fra qualche anno».

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