Nel cuore aspro e segreto del Supramonte, dove il silenzio pesa come pietra e il paesaggio è una scultura millenaria, si nasconde una delle meraviglie naturali più imponenti e misteriose della Sardegna: Su Suercone. Un nome che riecheggia tra le bocche dei pastori come un sussurro antico: Su Sellone, dicono a Orgosolo e Urzulei, quasi fosse una creatura leggendaria. E in effetti, qualcosa di leggendario qui c’è davvero.

Questa enorme dolina carsica – ufficialmente riconosciuta come Monumento Naturale – appare all’improvviso, come un abisso spalancato nel cuore della montagna. Un imbuto perfetto, vasto 18 ettari, con un diametro di quasi 400 metri e 200 metri di profondità.

Le sue pareti cadono a picco, strappate dal crollo di una cavità sotterranea che per millenni ha lavorato nell’ombra, scolpita dall’acqua e dal tempo. Un processo carsico raro e affascinante: si parla di “fusoidi”, cavità verticali nate da fratture profonde nel calcare, che si allargano verso l’alto fino a collassare. Il risultato è questo spettacolo grandioso: una ferita viva nella roccia, come un grande respiro della terra.

Su Suercone: il gigante addormentato del Supramonte di Orgosolo (Foto Sergio Loi)

Già in epoca preistorica, le sue cavità venivano usate come luoghi di sepoltura. I pastori e gli archeologi lo sapevano: tra le fenditure della dolina erano stati trovati resti umani, corredi nuragici, tracce di un culto ancestrale. Tutto, però, è stato brutalmente compromesso dagli scavi abusivi che hanno saccheggiato il fondo, devastando tombe e disperdendo reperti preziosi nella terra rossa. Una ferita nella ferita.

Secondo alcuni, “Su Suercone” deriverebbe da suerca, cioè “ascella”, per la forma avvolgente del paesaggio, quasi che la montagna abbracciasse chi osa scendere fin lì. Altri suggeriscono il significato di “grande sughera”, ma è meno probabile: le sughere qui, sul calcare nudo, non crescono. Crescono invece i tassi secolari, alti anche venti metri, con tronchi che superano il metro di circonferenza. Cresce il mistero, e cresce il senso di sacralità che questo luogo continua a evocare.

Attorno alla dolina si estende un mondo antico e stratificato. C’è il Campu Donanìgoro, teatro di scontri secolari tra pastori di Orgosolo e Dorgali per il controllo dei fertili pascoli, ma anche custode di memorie nuragiche, come il complesso di Nuragheddu, con il suo maestoso ingresso architravato e capanne disseminate di ceramiche risalenti all’età del bronzo. A pochi chilometri, la gola di Gorropu – secondo la leggenda una spaccatura inferta da Dio per punire gli uomini – custodisce votivi in bronzo, lamine d’argento, e racconti che si intrecciano alla preghiera. E poi c’è Tìscali, il villaggio perduto e poi ritrovato, che ancora conserva, nonostante tutto, parte dell’alzato originario delle sue capanne.

Su Suercone: il gigante addormentato del Supramonte di Orgosolo (Foto Sergio Loi)

Il Supramonte è pieno di segni, di storie, di ossa e di coraggio. Le pinnettas dei pastori, rifugi di pietra mimetizzati tra i lecci, testimoniano una cultura del pascolo che ha modellato questi paesaggi tanto quanto le forze geologiche. Su Suercone non è facile da raggiungere. Non ci sono cartelli, né sentieri segnati. Chi vuole incontrarlo deve affidarsi all’esperienza di guide locali, partire da Genna Sìlana, da Fontana Bona o da Scala Arenargiu, e camminare, attraversando paesaggi che sembrano fuori dal tempo. La tappa n. 5 del Sentiero Italia CAI, ad esempio, costeggia Nuraghe Gorropu, Campo Donanìgoro, fino alla Valle di Lanaittu, in un cammino di oltre sette ore. Ma ogni passo vale la pena, perché quando si arriva sul ciglio del Suercone, il mondo cambia. Ci si affaccia sull’abisso e si resta in silenzio.

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