Su Gorropu, il ventre della Sardegna tra Urzulei e Orgosolo
La gola di origine erosiva capolavoro della natura e della biodiversitàPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
C’è un luogo in Sardegna dove il vento sussurra storie di demoni e antichi dei, dove l’acqua scompare sotto la terra e la roccia parla il linguaggio del tempo.
Non è l’ambientazione di un romanzo gotico, ma un angolo reale del Supramonte: la gola di Gorropu.
Qui, tra i comuni di Urzulei e Orgosolo, la natura ha inciso una ferita profonda nella pelle calcarea dell’Isola. Una fenditura lunga un chilometro e mezzo, che dalla punta Cucutos (888 m) sprofonda per cinquecento metri nel ventre della montagna, stringendosi in alcuni tratti fino a quattro metri.
Gorropu è un canyon, una vera opera d’arte scolpita da milioni di anni di pioggia, vento e placide acque preistoriche.
Le sue pareti, levigate e carsificate, raccontano di un tempo in cui qui c’era il mare, popolato da conchiglie, ricci, gasteropodi. Siamo tra il Giurassico e il Cretaceo, tra i 190 e i 60 milioni di anni fa: l’era dei dinosauri, ma anche l’epoca in cui i sedimenti si accumulavano in un fondale poco profondo per diventare le rocce che oggi incorniciano uno dei canyon più affascinanti d’Europa.
Il Flumineddu, che oggi scorre nascosto sotto i sassi per gran parte dell’anno, durante le piene si risveglia con un boato che gli antichi pastori chiamavano “cando falat sa còdula” – “quando parla la gola”. E in effetti Gorropu parla: urla con il vento che a volte è così forte da far schiantare gli uccelli contro le sue pareti verticali. Mormora con le sue sorgenti limpidissime, da cui emergono laghetti in cui ancora nuotano specie antiche come l’Euprotto sardo, un tritone endemico, e la trota macrostigma.
Ma è nella sua vegetazione che si nasconde uno dei segreti più straordinari della gola: l’Aquilegia nuragica, una minuscola e rara pianta che cresce soltanto qui e in nessun altro luogo del mondo. Ne sopravvivono pochissimi esemplari, custoditi come gioielli tra le rocce. Accanto a lei, nel silenzio profondo del canyon, crescono tassi e filliree che sfidano il tempo da oltre mille anni, testimoni vegetali di epoche remote.
Anche gli animali sembrano scegliere Gorropu come ultimo rifugio. La maestosa aquila reale ancora nidifica tra le sue pareti, mentre mufloni, gatti selvatici e martore lo attraversano nell’ombra. È un ecosistema chiuso, uno scrigno di biodiversità che ha resistito all’avanzare dei secoli, delle guerre, degli uomini.
E gli uomini, in questo luogo sospeso tra geologia e mitologia, ci hanno vissuto davvero. I nuraghi Sa Domu de s’Orcu, Presetu Tortu e Mereu vigilavano sul canyon, come sentinelle di pietra. Ma sono le leggende, tramandate oralmente, a dare a Gorropu la sua aura più oscura e magnetica.
Si racconta di Sa Mama de Gorropu, un’entità mostruosa che dimora tra le pareti del canyon. E poi ci sono sos drullios, spiriti maligni che nelle notti di tempesta escono a trascinare via uomini, bestiame e perfino intere case. Non mancano nemmeno i racconti su Sa Tentassione, il diavolo in persona, che qui veniva evocato da chi voleva affidargli l’anima in cambio di ricchezze effimere. Il prezzo? Una fine tragica, tra follia e disperazione.
È difficile dire dove finisca la realtà e inizi la leggenda. Ma forse è proprio questo il segreto di Gorropu: essere un luogo liminale, sospeso tra scienza e magia, tra passato remoto e presente inaccessibile. Un canyon che non si attraversa soltanto con i piedi, ma anche con l’immaginazione. E chi varca le sue soglie non visita un sito naturale: entra in un altro tempo