Ci sono luoghi che non si visitano: si attraversano in silenzio, chiedendo permesso. La Sala degli Archi, nel cuore ruvido del Supramonte di Urzulei, è uno di questi. Per arrivarci non basta camminare, serve fiducia: nelle proprie gambe, nel respiro corto durante la  salita e nella montagna, che si offre solo a chi sa ascoltarla.

Urzulei, la sala degli Archi (Foto Sergio Loi)

Si parte dal basso, tra i profumi secchi del lentisco e del cisto, e la salita comincia quasi subito. Dura, ma mai cattiva. Si guadagnano quota e rispetto, si guarda il cielo da sotto, aspettando il momento in cui si aprirà il paesaggio. Poi arriva il Garbau e con lui un cambio d’atmosfera: il sentiero si assottiglia, il mondo si fa verticale. Si cammina su cenge che tagliano la parete con precisione e ogni passo è una nuova meraviglia.

Urzulei, la sala degli Archi (Foto Sergio Loi)

Le iscala e fustes- intrecci di ginepro inchiodati alla roccia dai pastori di un tempo- sembrano opere d’arte precaria, eppure reggono ancora. Passaggi sospesi, aerei, che parlano di ingegno e necessità, ma anche di fiducia tramandata. E quando la roccia si apre, all’improvviso, appare lei: la Sala degli Archi.

Urzulei, la sala degli Archi (Foto Sergio Loi)

Una sorta di tempio nascosto, scolpito dal tempo e dall’acqua. Non ci sono parole che possano spiegarla bene. Si può solo stare. Respirarla. Farsi piccoli davanti alla sua maestosità.

Il ritorno è un altro viaggio: si ridiscende su pietraie mobili, si attraversa di nuovo una scala e fustes, e ci si ritrova nella Codula di Luna, il solco millenario che la montagna ha inciso nella propria pelle. Lì, tra ombre e riflessi, si chiude il cerchio.

Pigiu Longu Urzulei (Foto Sergio Loi)

Il Supramonte non accoglie tutti, ma quando lo si visita qualcosa addosso - polvere, silenzio, gratitudine- resta.

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