A una manciata di chilometri da Castelsardo, lungo la statale 134 in direzione Sedini, c’è un vero e proprio monumento naturale e sito archeologico.

È la cosiddetta “Roccia dell’Elefante”: una bizzarra formazione rocciosa di trachite color ruggine, staccatasi in antichità dal massiccio di monte Castellazzu e rotolata a valle. Qui vento e pioggia l’hanno modellata fino a darle la forma di un pachiderma seduto con la proboscide che si solleva verso la strada. La denominazione originale è sa pedra pertunta, ossia “la pietra traforata”.

E la meraviglia non finisce qui: la roccia custodisce due domus de janas, scavate su livelli differenti, probabilmente nel Neolitico finale (3200-2800 a.C.). La tomba superiore è danneggiata dal crollo della parte frontale della roccia e in origine presentava tre piccoli vani. Si ipotizza che la distruzione della prima domus sia avvenuta già durante l’uso e per questo sarebbe stata realizzata la seconda, sfruttando la roccia sottostante.

Essa è in buone condizioni e contiene quattro vani in origine preceduti da un dromos, cioè un corridoio a cielo aperto. In una delle piccole camere c’è un’incisione rupestre che raffigura le corna di un toro.

(Unioneonline/D)

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