Giovedì prossimo la Gran Bretagna voterà sulla propria permanenza nell’Unione europea e si porrà fine a quello che il primo giornale economico britannico, il Financial Times, ha chiamato “Neverendum”, giocando sulla lunga durata della campagna.

Dura e dai toni accessi - e che ha visto il suo culmine nell'omicidio di Jo Cox, la deputata laburista uccisa ieri - si è rivelata come qualcosa che noi continentali non ci saremmo mai aspettati dai compassati isolani di oltremanica. Ad ogni modo, questo referendum, non riguarderà la sola Gran Bretagna. Anche se saranno loro a decidere del loro destino, tutto il mondo sta a guardare.

In particolare, le istituzioni finanziarie internazionali, osservano l'eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Ue con preoccupazione. Se dovessero vincere i sì, ci saranno rischi per tutto il sistema finanziario mondiale.

Ecco, viste da vicino, le considerazioni del Fondo monetario internazionale, della Banca centrale europea, della Federal Reserve Bank guidata da Janet Yellen, e dei mercati internazionali.

LA FED E IL FATTORE BREXIT- La presidente della Banca centrale americana, Janet Yellen, mercoledì non ha alzato i tassi di interesse e di finanziamento per le banche e le imprese americane. Sintetizzando il suo pensiero: “Ci sono ancora troppe incognite, si naviga a vista e vedremo cosa fare nel futuro”. Questo è quello che i mercati non vogliono sentirsi dire. In particolare per la Yellen il pericolo deriva proprio dal voto britannico: “Il rischio Brexit è stato uno dei fattori della nostra decisione. Potrebbe avere conseguenze future condizioni economiche e finanziarie negli Stati Uniti e rimarrà un fattore importante nelle prossime decisioni”, previste per il 16 luglio.

IL FMI E IL TRASLOCO A PARIGI - Per l’ex ministro delle Finanze francese e direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, il Brexit è uno dei rischi “più significativi” che incombe sull’area della moneta unica. L’istituzione di Washington ha precisato che il problema non è direttamente legato ai conti pubblici delle singole nazioni europee, ma al futuro del mercato finanziario. Pochi giorni fa, l’Economist si era domandato se fosse proprio Parigi la candidata ideale per diventare la nuova capitale della finanza europea nel caso in cui Londra dovesse uscire dall’Ue. Il “trascloco” non sarebbe a costo zero: porterebbe delle turbolenze finanziarie molto importanti. Le prime a soffrirne sarebbero le banche. Non a caso, i supervisori del Fmi di ogni singolo Paese dovrebbero avere interlocuzioni individuali con i singoli istituti finanziari.

LA BCE E IL BISOGNO DI RIFORME - Il rischio Brexit non lascia indifferente neanche Mario Draghi e la Banca centrale europea da lui presieduta. Nel bollettino economico mensile, rilasciato ieri mattina, il referendum Brexit è citato cinque volte. Per l’istituzione che sovraintende alla sicurezza del sistema bancario non è sorprendente, ma è un dato di fatto che sia tenuto in considerazione come una eventualità destabilizzante. Oltre a rendere più debole la ripresa economica britannica, il rischio Brexit viene derubricato come rischio geopolitico, al pari di una guerra, e rappresenta fonte di preoccupazione per l’intera economia Ue.

LO SPLENDIDO ISOLAMENTO BRITANNICO - Durante la metà del 1800 la Gran Bretagna inaugurò una politica estera che prevedeva la non intromissione negli affari europei. Così poterono concentrarsi sullo sviluppo dell’impero coloniale e dei vantaggi commerciali che da esso potessero derivare. Le cose naturalmente sono cambiate. All’epoca gli affari europei erano le guerre, adesso sono rappresentati dalle Istituzioni comunitarie e dalle loro strambe regolamentazioni. Secondo i sondaggi, chi voterà per rimanere nella Ue è in vantaggio di quattro punti. Ma a urne aperte tutto può succedere. Noi europei continentali possiamo solo aspettare e vedere cosa decideranno i cittadini britannici.

Edoardo Garibaldi
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