Come sarebbe la vita senza bibite, sciroppi, succhi e beveroni vari? Meno briosa, meno colorata, meno saporita e dolce. E molto, molto meno varia.

Anche l’analcolico ha la sua dignità, soprattutto se è in bottiglietta di vetro, senza metalli e plastiche attorno. Può essere "biondo che fa impazzire il mondo", come in una nota réclame, oppure "l’altro modo di bere scuro" come si diceva di un'altra bevanda. Può essere "con tutte quelle, tutte quelle bollicine" come canta Vasco Rossi, oppure liscio e naturale. Ebbene, è parte di noi e alimenta il nostro immaginario. Dopo averci dissetato, naturalmente.

Riflettiamoci sopra e senza neanche citare la famosa cola di Atlanta che, tra parentesi, ha pure dato il colore a Babbo Natale, pensiamo a quanti giorni della nostra vita ci ricorda lo "champagne dei poveri", insomma la gazzosa. Oppure il chinotto, che i marinai liguri usavano un tempo per combattere lo scorbuto e che noi negli "anta", da ragazzi, usavamo per combattere più modestamente la sete dopo una partita all’oratorio oppure nei bar del paese. Lo ricorda bene Stefano Benni nella sua "Favola della fine del mondo": "Dai paesi poveri i disperati cercavano di sbarcare nei paesi ricchi. Alcuni trovavano un’accoglienza di destra, un calcio nel didietro e via, altri un’accoglienza di sinistra, un calcio nel didietro e un chinotto".

L’INFINITA VARIETA' - Insomma il chinotto era il proletario calumet della pace come la limonata era quotidianità con cui accompagnare la frittata per il protagonista di "Sostiene Pereira" di Tabucchi. Una bibita fatta per dividere tanto che Raymond Carver le ha intitolato un racconto, "Limonata" appunto, in cui un padre e un figlio sono irrimediabilmente separati prima da lei e poi dalla vita: "Ecco cos’era andato lì a comprare Jim Senior, qualche arancia e le mele, altro che limoni per fare la limonata, limoni, per carità! Li detestava lui i limoni – ora più che mai – ma a Jim Junior la limonata piaceva, gli era sempre piaciuta. Voleva la limonata".

Come quasi sempre in Carver il dissidio sarà incomponibile e le cose finiranno male ma forse sarebbe bastato non essere troppo radicali. Puntare su una cedrata, quella che Mina definiva con voce anni Settanta "per voi e per gli amici": gialla anch’essa, lievemente aspra, ma tanto, tanto più dolce da evitare tragedie! Oppure farsi trascinare nell’universo delle spume dai tanti colori, del ginger amaro e del sambuco a tratti quasi stucchevole.

FUTURO ANALCOLICO - Le bevande analcoliche, i cosiddetti soft drink, hanno conosciuto un vero e proprio boom negli ultimi anni. Se ne consumano sempre di più e sono aumentate a dismisura le varietà a disposizione. I produttori hanno riportato in auge bibite tradizionali declinandole però secondo le esigenze moderne del mercato: rigorosamente bio, preparate secondo ricette tradizionali, utilizzando materie prime di qualità ed evitando i coloranti. Allo stesso tempo furoreggiano i mix moderni in cui acqua gassata e no si mescola con tutti gli aromi possibili e succhi e sciroppi si incrociano in maniera spericolata.

Le nuove frontiere analcoliche sembrano però essere molto, molto più estreme e puntano, per esempio, sulle "plant waters", bevande naturali tratte dalle piante più svariate e che, secondo gli analisti, potrebbero raggiungere un giro di affari di 4 miliardi di franchi a livello globale entro una decina di anni. Insomma acqua di betulla oppure di fico d’india o ancora di cocomero. Porte aperte, infine, anche per i mix di succhi o soft drink con pepe di cayenna, peperoncino, wasabi o zenzero. E ancora per il matcha freddo (tè verde giapponese) per le bevande di proteine vegetali come spirulina, lenticchie, riso, soya, canapa.
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