Il 23 maggio di venticinque anni fa Giovanni Falcone moriva in un attentato mafioso nei pressi di Capaci, non lontano da Palermo. Con lui perdevano la vita la moglie, Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta. Per l’Italia intera quella morte fu un trauma perché Falcone per molti anni era stato il simbolo della lotta alla mafia. Era stato il protagonista del maxi-processo che aveva visto per la prima volta alla sbarra i vertici di Cosa Nostra. Aveva intuito e, soprattutto, dimostrato i legami tra mafia e mondo della finanza, delle banche e della politica. Aveva, soprattutto, mostrato al mondo che mettere alle corde la criminalità organizzata era possibile.

I tanti successi ottenuti gli avevano fatto guadagnare popolarità e prestigio. Nello stesso tempo avevano fatto crescere a dismisura i suoi detrattori e i suoi nemici, più o meno occulti. Negli ultimi anni della sua vita, infatti, Falcone si ritrovò circondato da invidie e da una ostilità sempre meno trattenuta, un vero e proprio accerchiamento come ci racconta il giornalista Giovanni Bianconi autore del saggio L’assedio (Einaudi, 2017, Euro 19,00, pp. 400. Anche Ebook).

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Nell’ultimo periodo della sua vita Falcone si ritrovò circondato da nemici, nemici che erano all’interno delle istituzioni, della magistratura, nel mondo della stampa. Poi naturalmente era odiato dalla Mafia che da tempo preparava un attentato contro di lui. A rendere ancora più pesante la situazione contribuì quello che accadde tra il 1990 e il 1991. Impossibilitato a proseguire le sue indagini in Sicilia, Falcone scelse di trasferirsi a Roma per lavorare a fianco del ministro della Giustizia Claudio Martelli. A Roma puntava a salvare il maxiprocesso contro la mafia dalle forche caudine della Cassazione. Allo stesso tempo voleva creare e poi dirigere la Superprocura per la lotta alla mafia. Questo attivismo di Falcone aumentò l’ostilità contro di lui.

Falcone comprese che il cerchio si stava stringendo?

Sicuramente capiva quello che gli stava accadendo ma pensava di avere più tempo davanti. Quando le condanne del maxiprocesso vennero confermate in Cassazione a inizio 1992 la mafia uccise Salvo Lima, politico democristiano molto vicino a Giulio Andreotti. Falcone lo interpretò come un omicidio politico e pensò che i mafiosi volessero colpire un livello diverso dal suo. Non comprese che lui stesso non veniva più avvertito come un semplice inquirente. Falcone oramai incideva sulle politiche del governo in tema di mafia e quindi uccidere lui significava colpire ancora una volta il mondo della politica.

Tanti nemici per Falcone. Ma chi fu al suo fianco?

Sicuramente fu al suo fianco il ministro Martelli anche se la sponsorizzazione ministeriale aumentò le ostilità e gli irrigidimenti in seno alla magistratura che temeva intrusioni da parte della politica. Fu appoggiata da politici democristiani e del Partito democratico della sinistra come Luciano Violante, anche se questo partito a un certo punto si dimostrò ostile al giudice. In generale la vicinanza di Falcone a un ministro socialista come Martelli faceva sì che il magistrato patisse gli effetti delle rivalità tra i partiti.

Falcone sottovalutò gli aspetti politici del suo lavoro?

Era convinto che il suo carisma e il suo prestigio potessero tranquillizzare quei politici che erano preoccupati per una struttura innovativa e potenzialmente invasiva come la Procura nazionale antimafia, la Superprocura. Era una struttura che accentrava molto potere ma Falcone era convinto, anche con ingenuità, di poter fare da garante di fronte a tutti. Credeva di aver dimostrato ampiamente la sua autonomia e indipendenza da fazioni e partiti ma questo non bastava ai suoi avversari. In un certo senso il destino di Falcone si può avvicinare a quello di Aldo Moro. L’uccisione del politico democristiano portò dei vantaggi a qualcuno nel mondo della politica. Il magistrato fu eliminato dalla mafia e tra quelli che non lo vedevano di buon occhio ci fu chi pensò che la sua eliminazione aveva spazzato via un problema. La morte di Falcone da alcuni non fu considerata una gran perdita.

Roberto Roveda

La copertina del libro
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