«Una grande perdita, per me, per la sua famiglia prima di tutto e per tutto il calcio italiano. Perdo un fratello, speravo in un miracolo».

Roberto Mancini rompe il silenzio sulla morte di Gianluca Vialli, scomparso all’età di 58 anni per un tumore al pancreas. Insieme erano i “gemelli del gol”: 312 reti in due con la maglia Samp, ma i numeri non bastano a definire la coppia più coppia che il calcio italiano abbia mai conosciuto.

«È un momento difficile, ma dobbiamo cercare di andare avanti», dice Mancini che nei giorni scorsi è stato a Londra per salutarlo. «Ci siamo visti, abbiamo parlato, scherzato, lui era sempre di buon umore e questo un po' mi risolleva - racconta il ct azzurro in un’intervista realizzata e diffusa dalla Figc -. Il nostro rapporto è stato di grande rispetto, amore, amicizia. Luca era gioia e va ricordato così».

«Speravo che accadesse qualcosa, speravo in un miracolo sinceramente - continua -. Abbiamo vissuto quasi tutta la nostra vita insieme, c'era un legame stretto, quello tra due fratelli. Due persone che a un certo punto si sono separate calcisticamente però quando si è amici, lo si è per sempre. Luca per me era questo. Il nostro rapporto è stato di grande rispetto, affetto, amore, amicizia».

Storico l'abbraccio l'11 luglio del 2021 sull'erba di Wembley dopo l'Europeo vinto: Gianluca era già malato, ma aveva messo a disposizione il carisma e il coraggio per fare da guida morale a un gruppo di calciatori nei quali probabilmente si era rivisto: «Luca ha fatto capire a tutti, soprattutto ai più giovani il valore della maglia azzurra, quello che si deve fare dove si poteva arrivare. È stata una persona di grande valore per noi, soprattutto quando parlava ai ragazzi e a loro piaceva ascoltarlo. Sono stati momenti molto belli e importanti. Dobbiamo proseguire su questa strada. Luca era un ragazzo gioioso, sempre allegro, pochissime volte l'ho visto arrabbiato, va ricordato così, per quello che era realmente molto vivo in tutti sensi. A lui piacerebbe che lo si ricordasse anche per questo oltre che per essere stato un grande calciatore, un vero professionista con un carisma straordinario. Era un ragazzo, allegro, giovane, al quale piaceva la vita».

Si erano incrociati nelle nazionali giovanili, si conoscevano da quando avevano 15 anni e in blucerchiato fu amore a prima vista, per un sodalizio capace di andare oltre le consuete intese tecniche, ma anche di superare individualismi, incomprensioni, momenti no. Una coppia di attaccanti e compagni, ma non solo.

«In quella Sampdoria c'era un fil rouge: ci divertivamo, sempre», ha raccontato Mancini ne "La Bella Stagione”, docufilm di Marco Ponti che ha scavato nella storia della Sampd'Oro di Mantovani e Boskov che stasera sarà trasmesso da Raidue: «Questo film è stato fatto soprattutto per far vedere quanto sia importante l'amicizia tra persone che lavorano nello stesso gruppo e dove si può arrivare quando c'è questa coesione: contiene ricordi molto belli, ci sarà da piangere».

(Unioneonline/D)

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