L’arrivo dei detenuti in regime di 41 bis a Badu ’e Carros rischia di cambiare il volto del carcere nuorese.

È il dato principale che emerge dalla visita di monsignor Antonello Mura, vescovo di Nuoro e Lanusei, che oggi ha incontrato i detenuti e celebrato la liturgia all’interno dell’istituto.

«A Badu ’e Carros ho trovato un’aria di smobilitazione – ha osservato il vescovo –. Non è magari segnata totalmente, ma si coglie, si respira».

Un’impressione legata anche al numero ridotto dei detenuti presenti rispetto alle precedenti visite e agli stati d’animo emersi con chiarezza.

«Ho colto quello che stanno vivendo: per alcuni il trasferimento aiuta a ritrovare luoghi più vicini da dove vengono, per altri significa essere sottoposti a un trasferimento improvviso, senza certezze e con molti interrogativi».

Nel suo intervento monsignor Mura è tornato anche sul ruolo della Chiesa nel dibattito che ha accompagnato la riorganizzazione del carcere.

«Che sia stata la voce della Chiesa ad attivare una serie di riflessioni dimostra che la Chiesa è libera di parlare – ha detto – ma dimostra anche che, se c’erano progetti determinati, l’intervento è avvenuto dopo. Questo non rassicura nessuno».

Il passaggio più delicato riguarda però la prospettiva di un carcere destinato esclusivamente al 41 bis. Durante la visita il vescovo ha incontrato anche i detenuti sottoposti al regime speciale. «Non è che non ci sia il 41 bis per motivi di sicurezza e per tante ragioni – ha chiarito –. Il problema è che ci sia un carcere dedicato esclusivamente al 41 bis».

Secondo il vescovo, questa trasformazione rischia di snaturare una realtà che negli anni ha mantenuto una forte dimensione umana.

«Nel contesto in cui questo carcere si trova, che è umano grazie ai volontari e alla presenza di tanti aspetti educativi, avere solo un carcere così dedicato mi sembra che non lo renda umano».

E ancora: «Soprattutto toglie la possibilità a una detenzione che è dentro la città di avere rapporti con la realtà».

Un richiamo che va oltre le mura dell’istituto. «Quando passiamo qui attorno – ha aggiunto – dovremmo pensare a un carcere che rieduca e non solo che annienta, anche se per un tempo che non conosciamo, le persone».

Sui possibili ripensamenti il vescovo non nasconde i limiti del proprio ruolo: «Non dipendono né da me né da noi». Ma l’auspicio resta chiaro: «Vorrei essere smentito sul 41 bis, per i motivi che ho detto».

Il messaggio conclusivo è legato al tempo del Natale. «Il messaggio di Dio che ho portato è che il Natale è davvero improntato a una grande attenzione alle persone, qualunque sia la situazione che si vive».

(Unioneonline/Fr. Me.)

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