L’infettivologo Bassetti: “Si torna a vivere solo col vaccino”
“I no vax devono capire che in autunno si rischia un’ondata di ricoveri”
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Si corre per cercare di convincere i tanti, ancora troppi, non vaccinati: indecisi, ritardatari, confusi, no vax ideologici. In questa fase c’è ancora margine per la persuasione?
«Sì, c’è ancora un po’ di margine, il problema però è che non c’è più tempo. L’autunno è alle porte, parliamo di 20, 25 giorni, e noi stiamo rischiando pesantemente un’altra ondata di ricoveri in ospedale che riguarderà soprattutto i non vaccinati. Sta già succedendo, può negarlo solo chi ha gli occhi foderati di prosciutto».
La soluzione è l’obbligo vaccinale?
«Allargare il green pass può bastare. Sempre che venga rilasciato solo con la vaccinazione o la guarigione. L’opzione dei tamponi andrebbe eliminata, tranne per chi non può fare il vaccino e per i bambini».
Ormai è lui il bersaglio dei no vax e dei no green pass. Il professor Matteo Bassetti, classe 1970, direttore della clinica di malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova, si è ritrovato qualcuno che l’aspettava sotto casa e sul cellulare messaggi con minacce di morte, tanto che oggi può uscire solo se accompagnato da una scorta della polizia. «Purtroppo – chiosa al telefono dal suo studio – la mamma degli imbecilli è sempre incinta».
Adesso però, se dice che il tempo della persuasione è finito, oltre ai no vax si mette contro anche gli indecisi.
«Mi auguro che le persone che dicono di non trovare il tempo per fare il vaccino, o che l’hub è troppo lontano, o che hanno timore, il prossimo inverno non si trovino nella condizione di dover avere più paura del virus. Questo quando arriva non chiede il permesso, fa male e poi ci si pente. Non vaccinarsi equivale a gettare al vento la grande opportunità di poter essere sicuri di non sviluppare i sintomi gravi del Covid».
Per gli indecisi un freno è che comunque il vaccino non salva dall’infezione.
«Sì, e allora? Se tutti fossimo vaccinati renderemmo questo virus un parente stretto del raffreddore, perché nessuno probabilmente andrebbe più in ospedale, tranne quella quota che non risponde alle vaccinazioni».
Il vaccino, per la verità, non sembra essere un’urgenza per alcuni partiti, cioè Lega e FdI.
«Si è riusciti a far diventare i vaccini una materia di lotta politica, è questa la gravità di ciò a cui stiamo assistendo. Il vaccino andava difeso senza se e senza ma, perché è l’unico rimedio che abbiamo oggi. Non è di sinistra né di destra, è di tutti. Negarlo è un errore clamoroso che si pagherà, lo troveremo scritto nei libri di storia».
Professore, stiamo rischiando la quinta ondata?
«Premesso che secondo me non sarebbe la quinta ma la quarta, perché quella di questa estate è stata un’ondina, fatta più di contagi che di ricoveri, la risposta è sì: stiamo rischiando pesantemente un’altra ondata che, ripeto, riguarderà prevalentemente i non vaccinati. Parlo di un’ondata di ricoveri, non di contagi...».
In pratica cosa significa?
«Significa che, se anche in Italia dovessimo avere 100mila contagiati al giorno vaccinati, sappiamo che per il 95% di loro si risolverà con un raffreddore. Mi preoccupano gli altri, i non vaccinati, e la concreta possibilità di dover rivedere di nuovo gli ospedali pieni».
Pur vaccinati dovremo ancora portare la mascherina?
«Sì, possiamo levarla all’aperto, ma al chiuso è necessaria. Abbiamo a che fare con la variante Delta e sono ancora tante le persone non vaccinate, quindi dobbiamo avere pazienza. Se ci fosse stato ancora il virus originale, con la quota di vaccinazioni già fatte la mascherina l’avremmo ormai levata, ma questa è una variante molto più contagiosa. Tanto quanto la varicella».
Cioè?
«Il virus arrivato dalla Cina era, quanto a trasmissibilità, un cuginetto dell’influenza: l’indice R0, che è la quantità di persone che posso contagiare se ho il virus addosso, aveva una forbice tra uno e mezzo e due e mezzo, tre. Vuol dire che ogni persona che si contagiava poteva al massimo contagiarne due, in qualche caso tre. Oggi quell’indice è pari a 8, cioè tre volte di più. La variante Delta non è più aggressiva, è bensì più furba, ha una migliore capacità di passare da una persona all’altra».
Perché?
«Perché ce n’è molta di più, ha una carica virale nel naso che arriva a essere 300 volte superiore a quella del virus originale. Non si può scherzare. Ma una risposta l’abbiamo: il vaccino. Per questo mi dispiace sentire certa politica che dice di essere contro il vaccino e contro il green pass perché non vuole più chiudere. Se non si vuole chiudere, però, c'è solo una cosa da fare: vaccinare quante più persone possibile. Solo così torneremo a una vita normale. Non aver capito questo equivale a non aver capito niente».
Una grande quota dei no vax è della generazione over50, quella che ha visto gli effetti della poliomielite prima che arrivasse il vaccino obbligatorio. Perché questa esperienza non si è tradotta in fiducia nella scienza?
«Perché si tratta di persone negazioniste. Sono negazionisti delle nostre origini di generazione moderna e sana. Io sono nato nel 1970, appartengo alla generazione che ha beneficiato delle grandi scoperte della medicina e della scienza fatte tra gli anni ‘40 e gli anni ‘70: i nuovi antibiotici che si potevano prendere con pastiglia senza dover fare le punture e, soprattutto, i vaccini. Siamo stati l’ultima, o la penultima, generazione che si è fatta morbillo, parotite, rosolia, varicella, malattie per le quali oggi c’è un vaccino e allora non c’era. Però abbiamo fatto l’antivaiolosa, l’antipoliomielite, cioè vaccini che paragonati a quelli anti Covid erano davvero molto pesanti, perché la sperimentazione non era trasparente e con rigide regole com’è oggi».
La terza dose si farà prima ai fragili.
«Giusto proteggere intanto gli immunodepressi, i trapiantati, chi ha un tumore, chi fa la dialisi, chi ha la leucemia. Per gli altri, credo che la terza dose sarà un richiamo annuale».
Nessuna urgenza di vaccinare il personale sanitario?
«Non c’è un’urgenza. I dati dicono che la copertura dovrebbe arrivare a un anno».
Piera Serusi