La fuga dei cervelli presenta il conto al Sud: oltre 4 miliardi
Il Mezzogiorno perde ogni anno migliaia di giovani formati con risorse locali, aggravando spopolamento e divario con il Centro-NordPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Il cuore perduto del Sud d’Italia. Il futuro che se ne va. Il rapporto Censis – Confcooperative “Sud, la grande fuga”, parte dai numeri per raccontare quella che definisce una «emorragia silenziosa», ovvero la fuga dei cervelli con destinazione Centro nord ed estero. Ogni anno se ne vanno 134.000 studenti e 36.000 laureati. Il tutto si traduce in un costo di oltre quattro miliardi che grava sulle spalle del Meridione. «C’è un treno che parte dal Mezzogiorno ogni giorno», osserva il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini. «È carico di sogni, talenti, futuro, ma non torna mai indietro. Un trasferimento di ricchezza che risale dal Sud prendendo la strada del Nord».
Ecco i numeri: nel 2022, 23.000 laureati al Sud hanno scelto le regioni centro-settentrionali come approdo lavorativo. Nel 2024, altri 13.000 hanno varcato i confini nazionali. In totale, 36.000 giovani ad alta qualificazione, formati con risorse del Sud, valorizzano le proprie competenze lontano dai luoghi che hanno investito nel loro futuro. Ogni laureato, evidenzia il report, rappresenta un investimento di 112.000 euro, pubblico e privato, dalle elementari fino alla pergamena. I conti sono presto fatti: i 13.000 partiti per l’estero equivalgono a 1,5 miliardi di euro bruciati. I 23.000 trasferiti al Centro-Nord pesano 2,6 miliardi. Totale: 4,1 miliardi di euro.
Soldi investiti dal Sud per formare una classe dirigente che poi sceglie di restituire altrove le proprie competenze.
Il numero di immatricolati di Sud e Isole che scelgono atenei del Centro-Nord, pur oscillando, si mantiene su livelli elevati: dai 22.957 dell’anno accademico 2016/17 si passa ai 22.396 del 2020/21, per poi scendere a 16.545 nel 2024/25. Quest’ultima flessione, viene messo in evidenza, «potrebbe essere interpretata come un segnale positivo, ma va letta alla luce dello spopolamento che colpisce in modo particolare le regioni del Mezzogiorno. Può quindi non necessariamente derivare da una maggiore capacità di trattenimento degli atenei del Sud, quanto piuttosto da una riduzione fisiologica della platea potenziale di studenti».
Ancora più significativo è il dato sugli studenti universitari residenti nel Mezzogiorno che frequentano atenei del Centro-Nord: dai 132.755 del 2016/17 si arriva a 136.708 nel 2020/21, per poi arrivare a 134.207 nel 2023/24. «Si tratta di un flusso massiccio e sostanzialmente stabile di capitale umano che abbandona il territorio d’origine per formarsi altrove, con scarse probabilità di ritorno una volta completato il percorso di studi». La destinazione preferita dagli studenti residenti nel Mezzogiorno e che si trasferiscono al Centro-Nord è Roma. Infatti, la provincia ha attratto durante l’anno accademico 2023/2024 precisamente 32.895 studenti, circa un quarto della quota complessiva (25,06%). Seguono con grande distacco le province di Milano (19.090, 14,54%), Torino (16.840, 12,83%), Bologna (11.813, 9%) e Pisa (6.381, 4,86%).
La perdita economica è ingente: 157 milioni di euro evaporati dalle casse degli atenei meridionali, mette in evidenza l’indagine. Risorse che si materializzano altrove, nelle università del Centro-Nord, «dove rette più salate (2.066 euro contro i 1.173 del Sud) hanno fruttato 277 milioni di incassi. Il conto per le famiglie meridionali? Altri 120 milioni annui di differenziale. Il Sud paga di più per vedere partire i propri figli». Il Mezzogiorno, rileva ancora il focus, ha asset, potenzialità ed energie. Occorre, però, preservare i fattori di sviluppo e puntare su formazione avanzata e strategica. Un dato su tutti: i laureati in discipline Stem (scienze, tecnologia, ingegneria, matematica) rappresentano appena il 22,4% del totale nazionale, con un gap di 11 punti percentuali rispetto al peso demografico del Sud. «Si delinea così un sistema universitario che forma meno laureati, e li forma anche in ambiti meno strategici per lo sviluppo e con minori opportunità di apertura internazionale, consolidando un gap che si potrebbe tradurre in minore competitività del territorio», si legge nel report. E le start-up innovative? Solo il 28,3% del totale. Appunto.
Andrea Carli
(Estratto da “Top24 Lavoro Ai”, Il Sole 24 Ore, 13 novembre 2025, in collaborazione con L’Unione Sarda)
