La crisi d’impresa continua a comprimere l’imprenditoria italiana, anche a causa del complesso scenario internazionale e dei contrasti nelle relazioni commerciali globali. Nel primo semestre del 2025, secondo la terza edizione dell’Osservatorio Unioncamere sulla crisi d’impresa, le liquidazioni giudiziali hanno superato quota 5.200, in aumento di oltre il 25% rispetto allo stesso periodo del 2024. Un trend che conferma la fase critica già emersa lo scorso anno, quando tali procedure avevano toccato 9.203 casi, contro i 7.685 del 2023.

L’aumento delle procedure liquidatorie dipende, tra gli altri fattori, dalla strutturale incapacità di far fronte a costi energetici elevati, incertezze geopolitiche, rialzo dei dazi e rallentamento della domanda interna. Fattori che comprimono la redditività e spingono molte imprese, soprattutto piccole, verso la chiusura.

I settori più colpiti restano commercio (23,2%), costruzioni (22,2%) e manifattura (16,3%), dove la fragilità patrimoniale e l’elevato indebitamento rendono più gravi gli effetti della crisi.

Le aziende coinvolte contano in media sei addetti e un valore della produzione di 2 milioni di euro, a conferma di una crisi che colpisce soprattutto realtà minori e meno strutturate. Le fasi di instabilità globale mostrano quanto il tessuto produttivo italiano, fondato sulle Pmi, sia vulnerabile agli shock esterni: aziende che funzionano in tempi favorevoli, ma faticano a riprendersi quando la congiuntura peggiora, mancando di risorse e assetti adeguati per affrontare le fasi di crisi.

L’economia italiana continua a muoversi su un crinale incerto. Nel secondo trimestre 2025 il Pil ha registrato una lieve contrazione dello 0,1% sul periodo precedente, mentre la crescita tendenziale si è attestata a +0,4 per cento. Per l’intero anno, le previsioni indicano un incremento intorno allo 0,6 %, con un recupero più consistente atteso nel 2026 (+0,8 %), sostenuto dal graduale allentamento della politica monetaria e da un parziale rilancio dei consumi. La produzione industriale rimane debole: dopo un marginale +0,2 % a giugno, in agosto è tornata a calare del 2,4 % rispetto al mese precedente e del 2,7 % su base annua.

Pesano il rallentamento della domanda estera, la debolezza del comparto manifatturiero e l’incertezza legata al costo del credito. Sul fronte dei prezzi, l’inflazione resta sotto controllo: a settembre si è attestata all’1,6 %, in linea con l’obiettivo della Bce e con le previsioni di fine anno (circa 1,8%). Il raffreddamento dei prezzi e il graduale miglioramento del potere d’acquisto offrono un lieve sostegno ai consumi interni, ma la ripresa resta fragile; pertanto, senza un deciso rilancio degli investimenti produttivi e dell’export, il 2026 rischia di confermare un ritmo di crescita ancora moderato e disomogeneo tra i diversi settori.

Dai dati dell’Osservatorio emerge che sta anche aumentando l’uso degli strumenti di gestione pattizia della crisi. La composizione negoziata, introdotta nel 2021, ha superato 830 istanze nel primo semestre 2025, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Tuttavia, il grado di successo (pur crescente) resta ancora basso, poiché spesso vi accedono imprese già in crisi profonda e che, semmai, dovrebbero ricorrere a procedure concorsuali maggiori.

Lo strumento, pur utile nelle intenzioni, funziona sicuramente per le realtà medio-grandi, dovendo invece essere ripensato e semplificato per le piccole imprese che costituiscono l’ossatura del sistema produttivo e che più delle altre necessitano di aiuto.

La fotografia del primo semestre 2025 restituisce così l’immagine di un’Italia economica a due velocità: da un lato, imprese (poche) che tentano il rilancio e vi riescono; dall’altro, imprese (molte) che, strette tra debiti, caro-energia e incertezze globali, non riescono più a evitare la via della liquidazione, ma che in un rinnovato quadro solutorio a esse dedicato potrebbero quanto meno preservare parte del proprio valore aziendale.

Luca Jeantet e Matteo Andreola

(Estratto da “Il Sole 24 Ore - Quotidiano”, Il Sole 24 Ore, 10 novembre 2025, in collaborazione con L’Unione Sarda)

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