Le sessioni di bilancio sono tradizionalmente ricche di sorprese. Quella sulla manovra 2026 sta prendendo forma e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha spiegato nei giorni scorsi di persona all’ufficio di presidenza della commissione Bilancio che potrebbe esserci una novità: da 3,5 miliardi. Tanto serve per finanziare la lista d’attesa delle imprese rimaste a secco su Transizione 5.0 (1,7-1,8 miliardi secondo i calcoli aggiornati al ministero delle Imprese e del Made in Italy), le risorse (1,3 miliardi) per evitare un taglio del 39,62% ai crediti d’imposta spettanti a chi ha prenotato gli sconti fiscali nella Zes Unica del Sud e per rinforzare il fondo per il caro materiali come chiesto dalle aziende dell’edilizia.

Le coperture arriverebbero, per circa un miliardo, da una misura già discussa con le assicurazioni, cioè un super acconto dell’85% del contributo obbligatorio al servizio sanitario nazionale pagato sulle polizze per responsabilità civile (è pari al 10,5% del premio). Sul tavolo ci sarebbe poi anche un meccanismo di compensazione delle entrate che vengono a mancare all’Inps quando i lavoratori optano per la previdenza complementare. Altri 200 milioni potrebbero venire dalle Regioni, disposte a rinunciare a questa somma in cambio della possibilità di distribuirsi fra loro gli spazi finanziari resi disponibili dal «taglia debito».

E nella partita entrerà anche la rimodulazione dei fondi per il Ponte sullo Stretto, che contrariamente alle ambizioni ministeriali potrà vedere l’apertura dei primi cantieri solo il prossimo anno, a seconda di quando e come si chiuderà lo scontro con la Corte dei conti. «Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini è determinato a realizzare il Ponte e farà di tutto per velocizzare il via ai lavori», fanno sapere dalle Infrastrutture, dove si sottolinea che la scansione temporale degli stanziamenti sarà rivista alla luce del mancato avvio dell’opera quest’anno, ma senza ridurre i 13,5 miliardi complessivi: per il 2025 era prevista una spesa di 635 milioni, al netto della quota dei 3,882 miliardi non annualizzati del Fondo di sviluppo e coesione 2021-27, dopo i 780 milioni attribuiti al 2024. La mossa incontra però gli strali del Pd, che con la segretaria Elly Schlein accusa il Governo di coprire con i soldi del Ponte «i pasticci fatti su Transizione 5.0» mentre i Dem chiedevano di spostarli «sulle infrastrutture necessarie per i siciliani e i calabresi». Ma più in generale è il nuovo stop sul cammino di una manovra che da settimane attende di entrare nel vivo dei voti a scaldare il clima a Palazzo Madama.

Antonio Misiani, responsabile economico del Pd, parla di «gestione imbarazzante», i parlamentari M5S sostengono che «la manovra è da buttare» mentre per Iv «hanno sbagliato tutto».

Le polemiche sono ormai tradizionali da molti anni nei percorsi più o meno convulsi delle manovre. Il calendario però ora si fa stretto. E ormai promette di far tornare fra Natale e Capodanno anche i senatori chiamati, una volta chiusa la legge di bilancio, a convertire il decreto Anticipi già licenziato dalla Camera (scade il 29) e a dare l’ultimo voto sulla riforma della Corte dei conti entro fine anno, quando scadrà la proroga dello scudo erariale.

I 3,5 miliardi, del resto, valgono quasi un quinto della manovra originaria, che con i nuovi interventi salirebbe quindi verso i 22 miliardi. Il tutto, naturalmente, a saldi invariati, cioè senza incidere sulle linee di deficit e debito scritte nel Piano di bilancio strutturale.

Proprio a questo obiettivo risponde la caccia ai fondi alternativi indispensabili a reggere il correttivo del Governo. Che, peraltro, ha il compito anche di allargare il raggio d’azione dell’iperammortamento agli acquisti delle aziende fino al 30 settembre 2028.

Da risolvere rimangono però altre questioni. La querelle sull’oro di Bankitalia si è chiusa con la riformulazione governativa illustrata da Giorgetti in commissione, che come anticipato nei giorni scorsi sancisce l’appartenenza «al Popolo italiano» delle riserve «gestite e detenute dalla Banca d’Italia», ma «fermo restando quanto previsto dagli articoli 123, 127 e 130 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea», blindando quindi l’assetto attuale. Ma rimane da decidere il destino della norma che impedisce alle Pa qualsiasi pagamento di corrispettivi a professionisti debitori di Fisco, Inps e Inail, mentre la Fieg torna a lanciare l’allarme sul taglio alle risorse per l’editoria. Da definire anche l’incrocio fra il contributo italiano da due euro sui pacchi e il dazio Ue da tre euro, mentre pare definitivamente tramontata l’idea di alzare a 10mila euro il tetto all’uso del contante.

Gianni Trovati

(Estratto da “Top24 Fisco”, Il Sole 24 Ore, 16 dicembre 2025, in collaborazione con L’Unione Sarda)

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