Oggi 4 maggio 2020, come da Decreto del nostro Premier Conte dello scorso 26 aprile, inizia ufficialmente la fase detta “di convivenza con il virus”. Lo ha detto e ripetuto fino allo sfinimento che non si tratta di un liberi tutti quanto, piuttosto, di un ritorno ad una nuova ed insolita quotidianità controllata la cui efficace gestione passa direttamente anche attraverso il senso di responsabilità di ciascuno di noi siccome, all’evidenza, “un approccio incauto porterebbe alla recrudescenza del contagio”. Niente di strano, sembrerebbe. A rigore di logica il ragionamento parrebbe non fare una piega. E, in quanto tale, proprio quel ragionamento è stato recepito, volenti o nolenti, dalla gran parte dei Presidenti di Regione. Al proposito, Luca Zaia, sapiente e pragmatico Governatore del Veneto, in occasione del punto stampa a Marghera, non ha mancato di dichiarare che la propria Ordinanza “è assolutamente in linea con i dettati del Dpcm”, e che la stessa non solo si muove “nella direzione della salute dei cittadini”, ma si articola negli stretti “limiti delle norme nazionali”. Dal canto suo, Christian Solinas, Governatore della Sardegna, dopo i primi coraggiosi proclami iniziali che lasciavano presagire l’emissione di una Ordinanza innovativa ed in assoluta controtendenza, si è in buona sostanza trovato costretto non solo ad un clamoroso dietro front più o meno maldestramente camuffato, ma anche a dover subire, ciò nonostante, le contestazioni stringenti del Ministro Boccia su taluni aspetti critici del nuovo provvedimento.

Altra Regione italiana, invece, la Calabria per intenderci, nel giustificare la propria scelta arbitraria in ragione delle caratteristiche e delle esigenze del proprio territorio, ha deciso di non conformarsi alle nuove disposizioni muovendosi fin da subito in senso difforme rispetto al Dpcm “pilota”. Ma cosa si nasconde dietro questa che appare come una vera e propria forma di “insubordinazione”? L’atteggiamento del Governatore del succitato Ente regionale tradisce l’intento di perseguire, attraverso la via della “disobbedienza”, un puntuale disegno politico, oppure è semplicemente la traduzione sul piano pratico della necessità di rispondere ad esigenze stringenti di carattere economico della popolazione locale? Può dirsi ammissibile, non solo sul piano strettamente giuridico ma anche su quello più squisitamente pratico, una gestione “coriandolo”, per così dire, della delicatissima fase di convivenza con il Covid – 19 in totale dispregio, o quasi, delle linee guida nazionali? E’ possibile che questi imprevisti giochi di potere possano compromettere non solo gli sforzi finora compiuti dalla popolazione, ma anche minare l’immagine politica e la credibilità del Premier e della sua maggioranza?

Le risposte sono meno scontate di quel che si possa pensare, anche perché, pure a voler prescindere dalla fede politica di riferimento di ciascuno di noi, è innegabile che sul piano pratico, le singole decisioni, giuste o sbagliate che siano, andranno poi ad incidere direttamente, ed indirettamente, sul nostro prossimo futuro condizionandone il divenire. Intanto, perché l’esibizionismo inconcludente di Jole Santelli, peraltro aspramente contestato dagli stessi Sindaci calabresi, si è tradotto, come da più parti rilevato, in una Ordinanza irrimediabilmente illegittima, già fatta oggetto di impugnazione da parte del Governo, per essere, la stessa, in contrasto insanabile non solo con il Dpcm del 26 aprile, ma anche con l’art. 3, comma 1, del DL n. 19/2020, a mente del quale, “le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono (solamente) introdurre misure ulteriormente restrittive … esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”. Quindi, perché, il Consiglio di Stato, in altra recentissima circostanza, su sollecitazione del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, con propria sentenza, ha avuto modo di chiarire, in maniera davvero inequivocabile, che “in presenza di emergenze di carattere nazionale, pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza, soprattutto in casi in cui non” ci si limiti ad “erogare aiuti o effettuare interventi”, ma ci si spinga addirittura a “limitare le libertà fondamentali”. Infine, perché l’ostinata “insubordinazione” fine a se stessa, in totale dispregio di qualsivoglia forma di c.d. regionalismo collaborativo se, da un lato, sembra tradire, in realtà, ed unicamente, l’effettiva incapacità, e/o, piuttosto, mancanza di volontà, di coordinamento con l’apparato centrale, dall’altro, pare ingenerare un pericoloso sentimento generalizzato di smarrimento collettivo del tutto idoneo a rendere ancora più complessa e confusa la linea di confine tra quella che dovrebbe essere la gestione ordinaria, e/o, invece, la gestione esclusiva della emergenza pandemica.

Ma se così è, come davvero pare essere, e se la portata nazionale dell’emergenza da Covid -19, parrebbe richiedere soluzioni condivise e conformanti, perché a livello strettamente locale si tende a trasgredire sia pure nella consapevolezza del potenziale controllo successivo e sanzionatorio dell’Autorità Giudiziaria? Dove è finito il principio di leale collaborazione che dovrebbe ispirare le relazioni tra i diversi livelli di governo? Posto che nessun dubbio possa sussistere sulla necessità di una gestione centralizzata della crisi che, automaticamente, dovrebbe sconsigliare, come di fatto sconsiglia, decisioni autonomistiche di segno opposto, allora sembra chiaro che lo scontro Stato/Regione Calabria, nel caso specifico, possa in realtà tradire un preciso e puntuale disegno politico che va ben aldilà della pura e semplice ricerca del consenso siccome finalizzato, quel disegno appunto, con buona verosimiglianza, a depotenziare non solo l’immagine istituzionale di un Premier capace e per ciò stesso ingombrante, ma anche la sua credibilità crescente al fine di gettare le basi per una prossima, quanto invero prematura, incerta e traballante, maggioranza alternativa di governo. Peccato solo che nell’alternativa tra Renzi (e la sua Italia Viva), che oramai spara a salve solo per far valere il suo peso piuma in Parlamento, e Berlusconi (con la sua Forza Italia), in lieve crescita ma ancora alla ricerca della chiave di svolta, ad avere la meglio sembra essere, a conti fatti, il partito dei Dem, poco interessato, per il momento, e per evidenti ragioni di opportunità, ad incauti cambiamenti nella certa consapevolezza che, tutto sommato, il Prof. Giuseppe Conte, nella circostanza contingente, e per la naturale capacità a reggere con pazienza e fermezza lo stress decisorio degli ultimi mesi, appare come l’unico Uomo Giusto nel Posto Giusto.

Giuseppina di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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