Dopo più di 70 giorni dalle ultime elezioni, dopo che Benjamin “Bibi” Netanyahu ha provato inutilmente a creare il suo ennesimo governo e soprattutto dopo i violenti scontri israelopalestinesi proseguiti per tre settimane nello scorso maggio (con forti tensioni anche dentro i confini israeliani fra le varie comunità esistenti), Israele ha finalmente un Governo. Yair Lapid, leader di Yesh Atid che aveva avuto l’incarico di provare a fare un governo dopo che Bibi non c’era riuscito, ha comunicato al presidente Reuven Rivlin, in carica fino al 9 luglio, di esser riuscito a comporre una compagine governativa.

Se questo è possibile, lo si deve alla Lista Araba Unita (Ra’am) e al suo leader, Mansour Abbas che ha portato in dote i 4 deputati che mancavano alla coalizione.

Prima di analizzare questa situazione inusuale per Israele, mai un partito arabo ha sostenuto un governo israeliano, è il caso di ricordare brevemente gli esiti delle elezioni del 23 marzo scorso, le quarte in due anni (data l’impossibilità di formare un Governo stabile si è dovuto tornare più volte a votare).

Da una parte si è ricreata la naturale coalizione pro-Netanyahu: Likud con 30 seggi, Shas (ultraortodossi di tradizione sefardita) 9, lo United Torah Judaism (un’unione di partiti ultraortodossi di tradizione askenazita) 7, e Religious Zionist (una formazione ugualmente religiosa di destra) con 6. Totale 52 seggi, meno 9 alla maggioranza della Knesset. In questa coalizione però spicca la posizione del leader dei sionisti religiosi Bezalel Yoel Smotrich, che ha escluso la possibilità di avere un governo supportato anche dalla Lista Araba Unita (anche solo appoggio esterno).

Nel blocco di questo nuovo Governo si sono invece trovati Yesh Atid (moderati, liberali e secolari, leader Yair Lapid) con 17, Blue bianco (centristi liberali) con 8, Labor e Meretz (sinistra) con 7 e 6, Ysrael Beiteinu (nazionalista di destra e anticlericale, leader Avigdor Lieberman) con 7, Yamina (una unione di partiti di destra ed estrema destra di Naftali Bennet) che ha 7 seggi, e Nuova Speranza (formazione di destra di Gideon Saar) con 6. In totale fa 58, per un gruppo di partiti assolutamente eterogeneo. A questi 58 si aggiungono i 4 parlamentari di Ra’am, un partito arabo islamico, diventato l’ago della bilancia che nessuno aveva calcolato. Il totale è 62 seggi, la maggioranza relativa della Knesset.

Fuori dai due blocchi restano i 6 parlamentari della Joint List (alleanza di 4 partiti arabi).

La reazione immediata è: ma come fanno a stare insieme questi partiti così diversi, che vanno dalla estrema destra alla estrema sinistra? E soprattutto: come fanno 4 parlamentari arabi, provenienti da una formazione islamica che si rifà ai Fratelli Musulmani, a sostenere un governo israeliano?

Se per Bismarck “la politica è l'arte del possibile” è senza dubbio in Israele che questo possibile diventa realtà. Chi infatti avrebbe potuto immaginare di vedere la foto che mostrava Lapid, Bennett e Abbas, firmare un accordo per formare un governo?

Diversi sono i protagonisti di questo momento politico, due i principali: Bibi Netanyahu (con gli ex alleati Lieberman, Bennet e Saar) e Mansour Abbas.

Netanyahu, dopo 12 anni di Governo consecutivo e 15 in totale, ha fatto alcuni macroscopici errori politici.
Il primo è essersi circondato in via sempre maggiore di esponenti di partiti religiosi, concedendo sempre più spazio a estremisti religiosi distanti dalle posizioni del Likud e degli altri partiti di destra laici. Il secondo è di aver aggregato contro di sé la maggior parte dei suoi ex alleati: Avigdor Lieberman, Naftali Bennet e Gideon Saar sono stati tutti ministri nei governi di Netanyahu e si sono trovati tutti a prendere le distanze da lui e a non voler più collaborare (anche a causa dello spazio dato ai partiti religiosi).

Mansour Abbas è senza dubbio un abilissimo giocatore che ha saputo prevedere i possibili esiti incerti della ennesima consultazione elettorale e si è impegnato per ottenere il massimo possibile: che per un partito pragmatico non è altro che andare a governare. L’odontoiatra nato a Maghar, città nel Nord di Israele a maggioranza drusa (e dove i musulmani sono in minoranza anche rispetto ai cristiani), ha portato il suo partito fuori dalla Joint List dei 4 partiti arabi e ha massimizzato il risultato. Abbas si era detto disponibile anche a sostenere un nuovo governo presieduto da Netanyahu che però si è trovato ad affrontare il rifiuto netto dei partiti religiosi ebraici. Ovviamente, il suo pragmatismo estremo non è stato apprezzato dai palestinesi che vivono oltre il confine, ma potrebbe portare un cambiamento significativo nel sistema democratico e legislativo israeliano.

Non si può non citare infine Yair Lapid. È grazie alla sua caparbietà che questo governo ha visto la luce e bisogna ancora una volta notare come abbia nuovamente messo il suo ego da parte per il bene di tutti, pur consapevole che c’è una bassa probabilità che il nuovo governo duri due anni fino al suo turno come Primo Ministro.

Per questo governo è prevista infatti una rotazione dopo due anni tra Naftali Bennet, che inizia per primo, con Yair Lapid nella carica di Primo Ministro e ci sarà un ampio numero di ministri (per accontentare tutta la coalizione): si prevede anche, fra gli altri accordi, il cambio dello speaker della Knesset, Yariv Levin del Likud, con Mickey Levy di Yesh Atid. Tutto da capire ruolo e cariche che avrà Mansour Abbas.

Quali saranno le politiche economiche di un governo così ampio che ingloba estrema destra e sinistra?
È difficile dirlo anche se nel corso degli anni più volte diversi leader della sinistra storica israeliana si erano comunque già accomodati a fare i ministri in governi Netanyahu (Ehud Barack e soprattutto Amir Peretz i più famosi). Quale sarà l’atteggiamento in merito alla situazione israelo-palestinese? Quale peso avrà la religione, con tutti i principali partiti religiosi all’opposizione (tranne un partito islamico che come i suoi omologhi ebrei non è aperto per nulla sui diritti civili)?

È dunque un governo che nasce solo per essere anti-Netanyahu? Senza dubbio questo aspetto c’è, ed è paradossale perché la maggior parte dei suoi componenti non hanno posizioni economiche di sinistra, ma sarebbe riduttivo limitarsi a definirlo così. C’era una oggettiva necessità di cambiamento: Netanyahu ha governato più a lungo di Ben Gurion e avrebbe dovuto da tempo pensare a una strategia per lasciare spazio ad altri, nel suo partito o in altre formazioni. Non averlo voluto fare, forse anche per evitare i processi che ora lo aspettano, potrebbe esser la sua sconfitta politica.

PS: Il voto nella Knesset è previsto mercoledì. Fino a quella data Netanyahu proverà in tutti i modi a convincere qualche parlamentare a cambiare idea. Dunque, sino a mercoledì, nulla è sicuro al 100%.

Filippo Petrucci – Cagliari

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