Troppo facile aggirare il divieto di iscrizione ai social media per gli under 14. Lo studio legale torinese Ambrosio & Commodo si allea al Moige (Movimento italiano genitori) e dichiara guerra a colpi di carte bollate contro Meta e Tiktok. Al tribunale di Milano si chiede di imporre alle piattaforme il rispetto dell'obbligo di verifica dell'età, sancito da una norma dell'Unione europea, di chi intende aprire un account.

Se ne discuterà a cominciare dal 12 febbraio 2026 davanti a un giudice della 'sezione imprese'. Il presupposto della class action - la prima del genere in Italia - è che l'uso dei social, come sostengono i numerosi specialisti interpellati dai ricorrenti, può provocare problemi gravissimi a bambini e ragazzini per un eccesso (o un difetto) di produzione di dopamina, nota come "ormone del piacere”: «Disturbi alimentari, perdita del sonno, calo del rendimento scolastico, depressione, difficoltà nella gestione delle emozioni e dei rapporti interpersonali sono conseguenze già ampiamente descritte dalla letteratura scientifica». Ed è questo a rendere possibile l'azione inibitoria: «Come prevede il codice di procedura civile - spiega l'avvocato Renato Ambrosio - si agisce per ottenere uno stop a condotte nocive per una pluralità di soggetti. Si tratta di cambiare qualcosa che non sta andando per il verso giusto. Ed è solo il primo passo: il successivo sarà la quantificazione dei danni».

Lo studio legale stima che fra le 90 milioni di utenze raccolte in Italia da Facebook, Instagram e Tiktok, circa 3 milioni siano di infraquattordicenni. «Vogliamo - dice Antonio Affinita, direttore generale del Moige - un sistema di verifica più robusto da parte delle piattaforme. Non ci si può limitare a una semplice casella da spuntare».

Il ricorso contiene una richiesta parallela che entra direttamente nel cuore del funzionamento dei social media: eliminare i sistemi che creano la dipendenza dallo schermo come «scroll infinito», la «manipolazione algoritmica», il tracciamento dei dati che permette di proporre contenuti sempre più personalizzati «ma assai pericolosi per un adolescente», perché «ne influenza i processi decisionali». La terza richiesta è l'obbligo di una chiara e corretta informazione sui rischi: «Tutti - afferma l'avvocato Stefano Commodo - devono sapere che i social non sono baby sitter cui affidare i nostri figli».

(Unioneonline)

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