«Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua, tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna. E sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi».

Così, con la potenza immaginifica che gli era propria, Dino Buzzati aveva raccontato sul Corriere della Sera l’orrore del Vajont.

Era l’11 ottobre 1963, due giorni dopo che una massa di roccia pari a 270 milioni di metri cubi si era staccata dal monte Toc, precipitando nel lago artificiale sottostante e provocando una delle più grandi sciagure civili del Novecento.

Alle 22.39 del 9 ottobre 1963 il tempo si era spezzato. Un boato, un’ombra e poi il nulla. In venti secondi, la frana aveva travolto l’acqua dell’invaso, generando un’onda alta oltre 300 metri. Cinquanta milioni di metri cubi d’acqua si sollevarono come un muro liquido, spazzando via paesi, case, vite.

Una parte dell’onda aveva lambito Erto e Casso, un’altra aveva risalito la valle travolgendo le frazioni di Pineda, San Martino e Le Spesse.

Ma era stata la porzione che aveva scavalcato la diga – senza distruggerla – a causare la catastrofe più spaventosa: in pochi minuti Longarone e le sue frazioni venivano rase al suolo. Il Piave deviato, la ferrovia sbriciolata, la terra strappata alla vita.

Longarone, uno dei paesi distrutti nella tragedia del Vajont

Il bilancio era stato apocalittico: 1917 morti, dei quali circa 400 mai più ritrovati. 895 abitazioni distrutte, 205 unità produttive annientate, interi nuclei familiari cancellati dalla carta d’identità della storia. Longarone non esisteva più.

Eppure, il Vajont non è stata una fatalità, ma una tragedia annunciata. Una montagna che urlava il suo malessere e che nessuno aveva voluto ascoltare davvero.

Tra il 1957 e il 1963, la morfologia della valle del Vajont, al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto, era stata modificata in modo radicale con la costruzione di una diga colossale: 263,5 metri di altezza, la più grande diga a doppia curvatura mai realizzata all’epoca.

L’obiettivo era quello di alimentare la centrale elettrica di Soverzene raccogliendo acque da tutti i bacini artificiali del Cadore. Un'opera titanica, ma costruita su fondamenta fragili: l’incertezza geologica del monte Toc, la scarsa conoscenza del territorio, l’assenza di normative adeguate che imponessero studi approfonditi sulla stabilità dei versanti.

Solo nel 1959, quando una frana nel bacino idroelettrico di Pontesei (BL) aveva dato il primo campanello d’allarme, vennero commissionate nuove indagini.

Il geologo Leopold Müller, con Edoardo Semenza (figlio del progettista della diga) e Franco Giudici, concluse che sul versante nord del Toc era presente un’enorme frana preistorica, dormiente ma potenzialmente instabile. Le successive prove di invaso avevano poi confermato i timori: fessurazioni lunghe chilometri, frane parziali, onde anomale. Eppure, si andò avanti.

Il 26 settembre 1963 avevano tentato uno svaso d’emergenza, ma ormai era tardi. I movimenti della massa franosa acceleravano. Il 9 ottobre, al mattino, si registravano 30 cm di scivolamento al giorno. Poi arrivò la notte e la montagna crollò.

L’Onu, nel 2008, ha definito il Vajont: «un classico esempio delle conseguenze del fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che cercavano di risolvere». In quella valle stretta e cupa, l’uomo aveva osato sfidare la montagna senza ascoltarla. E la montagna poi si è presa tutto.

Il Vajont è oggi un monito. Un crinale doloroso nella memoria delle comunità colpite, ma anche un simbolo universale dei limiti dell’ambizione umana e dell’arroganza della tecnica quando si dimentica il rispetto per la natura.

La valle del Vajont: nei teli sono riportati i nomi dei bambini morti e di quelli mai nati nel 1963

Oggi, a più di sessant’anni da quella notte senza stelle, resta il dovere di ricordare. Non solo le vittime, ma anche le domande mai pienamente risolte, le responsabilità sfumate tra relazioni tecniche e logiche economiche, le voci inascoltate che avrebbero potuto cambiare il corso della storia.

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