È arrivata davanti al pronto soccorso di Desenzano, sul lago di Garda, in condizioni disperate, con tre ferite da arma da fuoco tra l'addome e una gamba. Scaricata da un'auto con targa finta e abbandonata.

Per Dolores Dori, 44enne di origini Sinti che viveva in un campo nomadi di Venezia, i tentativi dei medici sono stati inutili: è morta in camera operatoria, nel corso di un intervento chirurgico che non è servito a salvarla. Sulla vicenda indagano i carabinieri del Nucleo Investigativo di Brescia, coordinati dal sostituto procuratore Francesca Sussarellu.

Le verifiche partono dall'analisi dei sistemi di videosorveglianza della zona dell'ospedale di Desenzano del Garda, nella speranza di ricostruire i movimenti del veicolo che ha lasciato la donna davanti al Pronto soccorso, ma anche quelli nell'area dell'accampamento teatro dell'aggressione a colpi di pistola a Lonato del Garda. Un parcheggio con alcune roulotte che, dopo la morte della donna, si è subito svuotato.

Il passato della 44enne non è privo di ombre: a suo carico risultano precedenti per furti e raggiri, in particolare ai danni di anziani. E poi c'è una storia nella storia: il fratello di Dolores Dori risulta infatti essere un pentito inserito in un programma per collaboratori di giustizia in Toscana, ma secondo chi indaga si tratta di un elemento che non entrerebbe nell'indagine sull'omicidio.

L'uomo, fino a pochi mesi fa detenuto nel carcere di Prato, aveva scelto di fornire dichiarazioni alla magistratura, raccontando episodi di corruzione e traffici illeciti interni all'istituto penitenziario. Le sue rivelazioni hanno dato impulso a un'inchiesta della procura toscana che ha fatto emergere un sistema di scambi illeciti e coinvolto anche alcuni agenti di polizia penitenziaria. Proprio in seguito alle sue denunce, nello scorso giugno era stato disposto un imponente blitz: trecento uomini tra carabinieri, poliziotti e finanzieri fecero irruzione nel carcere pratese per smantellare i canali di approvvigionamento e le connivenze interne.

Le indagini sull'omicidio di Dolores Dori proseguono a ritmo serrato, con l'obiettivo di chiarire chi abbia materialmente sparato alla donna, il cui corpo è ora a disposizione della magistratura bresciana che ha già disposto l'autopsia. Tra i testimoni della sparatoria ci sarebbe il figlio sedicenne, mentre sarebbero pochi gli indizi trovati sulla scena del crimine dagli uomini delle Scientifica dell'Arma.

Secondo una prima ricostruzione degli inquirenti, la donna sarebbe stata vittima di una lite degenerata all'interno dell'accampamento in cui si era trasferita dal Veneto - con marito e figli - a bordo di una Alfa Romeo Stelvio, la stessa auto dalla quale è stata scaricata davanti al pronto soccorso, probabilmente dal marito.

Dal fotogramma a disposizione degli investigatori bresciani, si nota un solo uomo sull'auto, al volante della vettura con targa finta. L'uomo è sparito nel nulla, come le altre persone che vivevano al campo nomadi di Lonato, un piazzale con alcune roulotte che dopo la morte della donna si è completamente svuotato nel giro di qualche ora e dove ora non c'è più nessuno. È lì, sempre secondo dagli investigatori, che sarebbe scoppiata la violenta lite al culmine di una discussione tra la vittima e il marito, da una parte, e dall'altra i genitori di un ventenne che avrebbe dovuto sposare la figlia di Dolores Dori. Non è ancora chiaro se la famiglia della donna sia arrivata in provincia di Brescia già armata.

(Unioneonline)

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