Marinaio sardo morto con i colleghi nell’Adriatico, il testimone: “Non abbiamo potuto fare nulla”
Proseguono le indagini sul tragico naufragio. Indagati il comandante e l’armatore del rimorchiatoreProcedono le indagini della Procura di Bari sul tragico naufragio avvenuto nel Mar Adriatico, costato la vita a cinque marinai, tra cui Andrea Loi, 58 anni, originario di Tortolì ma da tempo residente in Puglia, dopo aver lavorato anche ad Ancona.
Il pontone AD3 che viaggiava a traino del rimorchiatore Franco P. affondato mercoledì sera a 50 miglia dalle coste baresi è stato posto sotto sequestro.
Nel provvedimento della Procura risultano indagati il comandante del rimorchiatore, il 63enne di Catania Giuseppe Petralia, unico sopravvissuto all'affondamento e attualmente ricoverato in ospedale a Bari, e l'armatore Antonio Santini, 78enne romano, legale rappresentante della società Ilma di Ancona proprietaria del rimorchiatore e del pontone.
Nel fascicolo d'inchiesta, coordinato dalla pm Luisiana Di Vittorio, si ipotizzano i reati di concorso in naufragio e omicidio colposo plurimo. Il decreto di sequestro riguarda anche il rimorchiatore affondato, il cui relitto però si trova a circa mille metri di profondità.
IL TESTIMONE – "Ci si è spaccato il cuore, ma non abbiamo potuto salvarli. Tutto è successo all'improvviso, in 20-25 minuti. Eravamo in navigazione da quattro giorni e non c'era il minimo problema". Questo il racconto della tragedia fatto da Onorio Olivi, il tecnico del pontone AD3 tra i testimoni dell'affondamento del rimorchiatore. L'uomo è stato sentito oggi nella Capitaneria di porto di Bari.
"Abbiamo visto la barca che imbarcava acqua e non c'è stato niente da fare, neanche il tempo di poterli aiutare - spiega - , perché le condizioni del mare erano quelle che erano".
Olivi chiarisce che con l'affondamento "le condizioni meteo non c'entrano niente, probabilmente c'è stato un inconveniente tecnico. Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo. Abbiamo messo anche un gommone in acqua rischiando la vita di quelli che andavano sul gommone, perché lì c'erano i nostri fratelli, ma purtroppo non siamo riusciti a fare niente. Il senso di impotenza ci distrugge tutti perché sei lì e non puoi fare niente".
Sui compagni dispersi, Olivi spiega, commosso: “Li sentivo come più che fratelli perché la vita del mare, chi la fa lo sa, 24 ore al giorno si affronta tutto insieme. Il momento è terribile. Abbiamo vissuto insieme, vent'anni abbiamo lavorato insieme, gente che ha lavorato una vita con noi. Adesso - continua - pensiamo al dolore delle famiglie, a chi non c'è più, padri di famiglia, nonni, genitori, uno doveva sposare la figlia, pensiamo a mogli e figli che ora hanno bisogno di conforto e poi alle colpe si penserà dopo".
(Unioneonline/l.f.)