L'articolo lo ha pubblicato La Verità, firmato con uno pseudonimo, Ignazio Mangrano. Ma lo stesso identico testo è arrivato domenica all'ora di pranzo in almeno tre redazioni, di area di centrodestra, inclusa quella del Giornale, dalla casella mail stefanomarini@usa.com, e firmato Mario Rossi.

Si tinge di giallo lo scontro politico istituzionale nato dal caso Francesco Saverio Garofani, il consigliere del Colle che avrebbe invocato «un provvidenziale scossone» per disarcionare Giorgia Meloni. Non sono chiare ad esempio le circostanze in cui sono state carpite le parole che hanno scatenato la bufera: c'è chi dice un mese fa in un circolo sportivo romano, chi sostiene senza dubbi che sia stato in un locale di piazza Navona una settimana fa.

Finché le testate online di Repubblica e Stampa hanno fatto emergere il retroscena poche ore dopo la conclusione dell'incontro al Quirinale fra Sergio Mattarella e Meloni, pubblicando anche la foto della mail. Di certo nessuno ha riportato quell'articolo lunedì, il giorno del Consiglio supremo di difesa, con Mattarella, Meloni e mezzo governo riuniti al Colle.

Tra le opposizioni circolano quelli di una campagna mediatica per gettare ombre sull'imparzialità del Quirinale, dove fra meno di quattro anni il centrodestra potrebbe per la prima volta avere la possibilità di eleggere un presidente della Repubblica della propria area: secondo Matteo Renzi, è «il palazzo» a cui punta la premier. Si dibatte anche sul tempismo dello «scoop» de La Verità, pubblicato all'indomani del Consiglio supremo di difesa. Fonti qualificate escludono qualsiasi collegamento.

Intanto l'edizione di ieri del Giornale (di proprietà del deputato della Lega Antonio Angelucci e prima della famiglia Berlusconi), nel pezzo sulle "tensioni" fra FdI e Colle, ha riferito di aver ricevuto quella mail. «Temo ci sia un po' di invidia in quel pezzetto del Giornale - ha commentato Massimo De Manzoni, condirettore de La Verità, ospite di Un giorno da pecora, su Radio1 - Pensa che avremmo fatto tutto questo sulla base di una lettera anonima? E se fosse vero, come mai il Giornale non c'è andato dietro?». «Assolutamente», ha garantito De Manzoni, conoscono la fonte, «non è un Mario Rossi». È «una fonte più che autorevole», aveva messo nero su bianco il direttore Maurizio Belpietro nell'editoriale sul «piano del Quirinale per fermare la Meloni». Ora ci si interroga sull'esistenza di un audio della conversazione che ha avuto come protagonista Garofani. «È possibile» che esista, ha confermato De Manzoni senza escludere che il giornale abbia tenuto dell'altro materiale per nuove puntate nei prossimi giorni: «Top secret. Un po' di casino lo abbiamo fatto già, intanto stiamo sfruttando le reazioni».

Il colloquio Meloni-Mattarella

Ieri intanto venti minuti di colloquio non sono bastati per la pace, ma hanno fatto scattare la tregua tra Quirinale e Palazzo Chigi. Meloni ha chiamato Mattarella poi è salita al Colle per un colloquio che le fonti ufficiali definiscono cordiale e proficuo. Eppure quando la premier esce dai saloni del palazzo che fu dei papi, a tempo di record fonti di Chigi gelano le attese di quanti in quelle stanze non c'erano: «La presidente del Consiglio Meloni ha espresso al capo dello Stato Mattarella il suo rammarico per le parole istituzionalmente e politicamente inopportune pronunciate in un contesto pubblico dal consigliere Francesco Saverio Garofani».

Immediata sale la tensione, i giornalisti assediano Chigi e Quirinale chiedendo che sia successo in quei 20 minuti di colloquio. Le fonti si blindano nel silenzio. Solo in serata, forse anche dopo il provvidenziale intervento della Cei, finalmente esce una nota di FdI. Questa volta non c'è solo Galeazzo Bignami che ha dato fuoco alle polveri attaccando Garofani e tramite lui il Colle. Ma anche il capogruppo del Senato Lucio Malan a siglare le poche righe, quasi a voler alzare l'ufficialità dell'uscita. «Dopo il colloquio di oggi tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che hanno avuto modo di confrontarsi sulle notizie di stampa riguardanti le dichiarazioni del consigliere Garofani, Fratelli d'Italia - sottolineano - ritiene la questione chiusa e non reputa di aggiungere altro. Rinnoviamo la stima nel presidente Mattarella e l'apprezzamento per la sintonia istituzionale tra il Quirinale e Palazzo Chigi».

Caso chiuso, quindi? Il Quirinale aspettava proprio queste parole e in serata conferma: «Caso chiuso». Ma a destra rimane aperta la questione delle dimissioni di Garofani. La stima e il rispetto istituzionale per il presidente della Repubblica sono «immutati», ma se un consigliere «si permette di fare tali affermazioni in pubblico, non può ricoprire quel posto: è stato inopportuno». A sentire diverse ricostruzioni, questo è stato in sintesi il passaggio cruciale del discorso di Giorgia Meloni nel colloquio con Sergio Mattarella al Quirinale. Il ruolo di Garofani però non è mai stato in discussione al Colle.

Per il Pd, si ragiona in ambienti del partito di Elly Schlein, «stupisce» come un governo che fonda la sua narrazione sulla stabilità tenda a «creare fortissima fibrillazione istituzionale, tra attacchi al Colle, magistratura, Corte dei conti, Rai...». Non a caso, da quelle parti, nelle ultime ore si sentono citare insistentemente le parole del cardinale presidente della Cei, Matteo Zuppi, sulla necessità di «qualcosa di più del fair play istituzionale». 

Chi è Francesco Saverio Garofani

Francesco Saverio Garofani, classe 1962, è da sempre uno degli uomini più vicini a Sergio Mattarella, consigliere del capo dello Stato per gli Affari del Consiglio Supremo di Difesa.

Secondo La Verità e il suo direttore Maurizio Belpietro, sarebbe tra coloro che al Quirinale «si agitano nella speranza di fare uno sgambetto alla premier».

«A quanto pare - scrive il direttore del giornale - si ragiona di “una grande lista civica nazionale”, una riedizione dell'Ulivo. Ma questo potrebbe non essere sufficiente e allora il consigliere di Mattarella, Francesco Saverio Garofani, invoca la provvidenza: “Un anno e mezzo non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra, ci vorrebbe un provvidenziale scossone”». Ma non è tutto, nella stessa pagina c'è un secondo pezzo in cui si raccontano i dettagli «dell'incontro informale» in cui Garofani avrebbe spiegato ai suoi interlocutori i dettagli dell'operazione. 

Romano, impegnato nei gruppi giovanili della Democrazia Cristiana e laureato in Lettere e Filosofia, è giornalista professionista e ha camminato accanto a Mattarella in esperienze giornalistiche e politiche, dalla Dc (sempre nella corrente di sinistra del partito) al Ppi fino alla Margherita e infine al Pd.

Per due anni, dal 1990 al 1992, è stato capo redattore de La Discussione, dal 1995 al 2003, direttore del quotidiano Il Popolo, nel 2003 tra i fondatori di Europa, di cui è diventato vicedirettore: sempre vicino a Mattarella nel portare avanti la tradizione politica del cattolicesimo democratico nei quotidiani prima della Dc e poi centristi. Dal Ppi passa alla Margherita e viene eletto per la prima volta alla Camera nel 2006 con l'Ulivo, per poi venire confermato a Montecitorio nelle due successive legislature. Dal 2015 al 2018 è presidente della commissione Difesa della Camera. È stato membro della Direzione nazionale del Pd.
Ha scritto due libri su Aldo Moro ed è stato consigliere di Mattarella al Quirinale dal 2018 per le questioni istituzionali.

Dopo la sua ultima nomina, nel 2022, a consigliere per gli Affari del Consiglio Supremo di Difesa, FdI comunicò il suo «stupore per la decisione di nominare una figura così politicizzata e di parte come un ex parlamentare del Pd, per un ruolo che per la prima volta non viene affidato ad un militare».

(Unioneonline/D)

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