Decine di perquisizioni, un arresto e 32 denunce, due in Sardegna.

Questo il bilancio dell’operazione contro la pedopornografia online, ribattezzata “Luna” e condotta dalla Polizia Postale, con le indagini che – partite dal Friuli Venezia Giulia - hanno toccato diverse regioni d’Italia, compresa la Sardegna

“L’operazione – spiegano gli inquirenti – è scaturita dalla complessa analisi del materiale informatico sequestrato a un cittadino residente nella Provincia di Udine, tratto in arresto lo scorso anno nel corso di un’altra attività di indagine e successivamente condannato per detenzione, divulgazione e produzione di materiale pedopornografico”.

Gli agenti della Polizia postale friulana hanno chiesto la collaborazione dei colleghi sardi per eseguire, alcuni giorni fa, perquisizioni all'interno delle abitazioni dei due indagati, accusati come gli altri di detenzione, cessione e divulgazione di materiale pedopornografico. Al termine delle perquisizioni sono stati sequestrati computer, telefonino e supporti informatici su cui sarebbero stati salvati i file.

“Gli specialisti della Polizia Postale – continuano gli investigatori – , tramite sofisticati software di analisi forense, sono riusciti a ricostruire la vasta rete di contatti che scambiavano con l’arrestato numerosi link contenenti immagini e video riproducenti atti di sfruttamento sessuale in danno di minori, talvolta in cambio di immagini di ragazzine minorenni che il soggetto aveva nel tempo adescato, concentrandosi sulle vittime più fragili”.

Una rete che, come detto, toccava diverse regioni, ovvero: Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna.

“Le attività di ricerca della prova – spiega la Polizia Postale - hanno fatto emergere nel complesso la detenzione di migliaia di file di natura pedopornografica, raffiguranti minori anche al di sotto dei 5 anni, coinvolti in atti sessuali violenti, puntualmente catalogati dal personale che ha proceduto scrupolosamente all’effettuazione degli approfondimenti informatici sul posto durante le perquisizioni”.

Nel corso dei controlli a carico di alcuni indagati – tra l’altro minorenni – sono stati rilevati software per l’anonimizzazione in rete, oltre alla creazione di chat in cui i ragazzi si proponevano quali intermediari a pagamento per la distribuzione di materiale pedopornografico all’interno di spazi cloud protetti.

"In altri casi – concludono gli inquirenti – i minorenni indagati, pur non essendo interessati alla diretta fruizione del materiale illecito, si erano resi protagonisti della divulgazione di materiale pedopornografico in favore di interlocutori a loro sconosciuti, dietro la rassicurazione di essere ripagati con premi e regalie, dimostrando scarsa consapevolezza dei rischi a cui esponevano se stessi e i propri dati personali in rete”.

(Unioneonline/l.f.)

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