Non hanno fatto in tempo. La valigia di juta era sempre pronta, ma l’aria fresca di Monte Arcosu non sono mai riusciti ad apprezzarla. Il più alto in grado nella scala gerarchica dei boss, in quel carcere ai confini con le pale eoliche della zona industriale di Macchiareddu e sotto il vento delle ciminiere della Saras, non c’è mai arrivato. L’epitaffio è nel registro del regime più duro, il 41 bis: Totò Riina, deceduto. Per avere certezza della dipartita a miglior vita del Capo dei Capi, ideatore della strage di Capaci e di via D’Amelio, c’è voluto un anno intero. Tanto è servito alla Procura di Parma per confermare: morto per cause naturali il 17 novembre 2017. Aveva 87 anni. Era ancora considerato, dentro e fuori del carcere, il capo indiscusso di Cosa Nostra. Doveva scontare 26 condanne all'ergastolo per decine di omicidi e stragi. Non è andata meglio a Don Raffaele, Cutolo all’anagrafe. Anche per lui niente proscenio sull’oasi di cervi e cinghiali, a ridosso della casa circondariale Ettore Scalas di Uta. Dopo 40 anni di “gloriosa” detenzione, e all’età di 79 anni, ha lasciato la vita terrena anche il boss della nuova camorra. Sentenza divina vergata nel registro del 41 bis del carcere di Parma: dopo 25 anni di carcere duro il 17 febbraio 2021 è morto Raffaele Cutolo. Non è riuscito a traguardare le saline di Santa Gilla nemmeno il predecessore di Riina, Bernardo Provenzano, segregato al 41-bis da quando è stato arrestato nel 2006, dopo 43 anni di latitanza.

Niente brezza d’Arcosu

Anche lui aveva un biglietto aereo e scorta prenotata per respirare la brezza stretta di Macchiareddu. Non gli è andata bene. Morto, anche lui, prima del trapasso in terra sarda. A 83 anni, era pieno luglio 2016. Anche per lui dubbi sul paradiso finale. Il viaggio di “Relegatio in insulam” non porta bene, quel confino solo minacciato nell’Isola di Sardegna, ai principi di mafia e camorra, è stato fatale. Del resto non potevano sperare nella vita eterna, visto che per il reparto del 41 bis di Cagliari – Uta doveva aprire già nel 2009, ma ad oggi è ancora blindato, nel senso che ormai pare chiuso “ad aeternum”.Il trapasso dei capi dei capi, però, non fa demordere i vertici del Ministero della Giustizia pronti all’ennesimo blitz pur di non lasciare chiuso per sempre il braccio dei seppelliti vivi, quel reparto del 41 bis che da ormai quasi 15 anni tentano di aprire, senza, però, mai riuscirci. La sequela di annunci di ministri in persona è un rosario di date, mai rispettate. Eternamente disattese, come una maledizione. L’ultimo ministro ad aver rischiato una data era stato il cinque stelle prestato al dicastero che fu di grazia e giustizia. L’annuncio fu roboante: nel 2020 apriamo il 41 bis di Cagliari. Risultato scontato: ancora chiuso. Marta Cartabia, ministro di Draghi e Mattarella, è donna avveduta. A Cagliari il mese scorso è arrivata in punta di piedi, con la scusa di un tema lontano anni luce dalla realtà: lavoro e connessioni in carcere. Si è persino collegata via satellite con il suo collega della digitalizzazione, quel Vittorio Colao che fu di Vodafone, per firmare protocolli tra di loro, come se non potessero firmarli direttamente a Palazzo Chigi, senza occupare banda di trasmissione.

Dossier mafia

In realtà quel passaggio a favore di telecamere era funzionale a nascondere un dossier che scotta: la mafia in Sardegna, dal 41 bis del carcere di Uta, sempre chiuso, all’Isola Cayenna sempre più sotto pressione di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Capitoli pesanti da affrontare nel silenzio degli apparati di Stato, per non suscitare reazioni e, come spesso capita, giocare l’effetto blitz per evitare ogni qualsivoglia tensione o protesta. In quelle poche ore a Cagliari il Ministro è scomparsa dai radar per il tempo necessario per entrare personalmente nelle nuovissime celle del carcere duro. Una ricognizione fugace, ma il cuore vero della missione sarda. Voleva vedere con i suoi occhi, e ha visto. Su quel sopralluogo, però, niente è trapelato. La consegna è quella del silenzio. La tattica del blitz non prevede troppe chiacchiere, viste quelle del passato. In quelle “suite” per boss noi, però, ci siamo entrati. E le immagini che vi proponiamo sono quelle scattate di straforo dentro l’albergo, vista suggestiva ma solo ideale su Monte Arcosu, destinato ad una lunga fila di capimafia con un biglietto per l’ennesima Cayenna sarda, dopo quella di Bancali a Sassari e Badu ‘e Carros a Nuoro.

Pronto, ma...

Celle attrezzate in ogni dettaglio, dai bagni in acciaio 18/10 incassati nel cemento armato, non staccabili, a suppellettili inesistenti per evitare corpi contundenti, stanze per i collegamenti in diretta con i processi in giro per l’Italia per evitare spostamenti ad alto rischio e altissimo costo. Dopo un appalto che ha sfondato i cento milioni di euro, e cotanta inchiesta penale, il provveditorato delle Opere Pubbliche è riuscito a riappaltare la sezione destinata al regime penitenziario più duro, il 41 bis. I tempi, nonostante la limitatezza del corpo di fabbrica, sono diventati come sempre eterni. Anzi, in un report riservato di cui siamo in possesso, il ministero delle Infrastrutture ha messo nero su bianco l’ennesima maledizione: «I lavori di realizzazione del padiglione risultano ultimati. Allo stato è in corso il relativo collaudo. La commissione di collaudo del Ministero delle Infrastrutture ha di recente riferito che la consegna dell'immobile a quest'Amministrazione non avverrà nel brevissimo termine». In un altro dossier interno,nel contempo, si fa trapelare che all’appello mancano ancora diverse stanze di servizio, ufficio matricola, cucine e similari. Per realizzarle servirebbe un nuovo appalto, l’ennesimo. In questi giorni, però, la voce si fa più insistente. Il Ministro chiede di fare il blitz. C’è da alleggerire la situazione dei 41 bis in qualche carcere del nord e centro Italia e il governo Draghi non ci penserà due volte ad intestarsi l’apertura del carcere duro di Cagliari-Uta. La situazione, secondo i ben informati, sarebbe tale che il Ministro potrebbe fare la forzatura. Il dossier 41 bis a Roma scotta come non mai. Ai 748 detenuti in regime di carcere duro, molti da spostare, si aggiunge un numero tenuto sotto copertura di altri detenuti per i quali la procedura per il 41bis è già stata approvata, ma non ancora eseguita. Insomma, c’è la fila per entrare nel carcere blindato con il cemento armato, ma non ci sono posti. Il tema che mette in ginocchio il sistema è il contatto, vietato, tra i boss e i detenuti a regime ordinario. La lista dei destinati in Sardegna si allunga, visto che le sentenze anche recenti, hanno confermato il carcere duro per coloro che ritenevano di aver superato il periodo di prova nelle celle rinforzate. Non si liberano spazi e coloro che si sono “guadagnati” sul campo il carcere duro devono attendere l’apertura dell’ennesimo braccio sardo del 41 bis. Se il blitz dovesse compiersi, in prima fila ci sono coloro che hanno chiesto di lasciare il regime di carcere duro. Tra questi c’è Giovanni Riina, il figlio del Capo dei Capi. Classe ’76, il rampollo della cosca non avrebbe ruoli di vertice nell’organizzazione criminale, ma a lui basta il cognome per non escludere il ruolo nella consorteria mafiosa del fu numero uno di Cosa Nostra. La sentenza della Corte di Cassazione dello scorso anno è stata lapidaria: la proroga del regime del carcere duro deve essere confermata per la pericolosità sociale del detenuto. L’elenco di coloro da spedire in Sardegna potrebbe essere rimpinguato da altri due esponenti di primo piano contrari al 41bis, Giuseppe Madonia e Filippo Matassa. Anche in quel caso la Suprema Corte è stata tranchant: non allentare le maglie per il pericolo concreto che i detenuti possano riallacciare i rapporti con i loro clan. Nella sentenza di Madonia i Giudici hanno scritto: «il suo clan di appartenenza è pienamente operativo, come confermato dal processo "Apocalisse", ma pure dalle dichiarazioni del pentito Vito Galatolo, secondo cui Madonia manteneva il controllo dal carcere».

Sardegna sotto attacco

L’apertura dell’hotel 41 bis Monte Arcosu rischia, però, di mettere ancora una volta la Sardegna sotto il fuoco incrociato della pressione mafiosa con una concentrazione di capimafia senza eguali in Europa, visto che ai detenuti in regime di 41 bis, vanno sommate le centinaia di criminali appena usciti dal carcere duro e confinati nel gradino poco sotto, quello dell’Alta Sicurezza Uno. Ai 90 capimafia detenuti a Sassari vanno sommati i sei di Nuoro, e adesso i prossimi 92 di Cagliari-Uta. Nelle carceri di Tempio e di Oristano, però, la concentrazione di iscritti alla criminalità organizzata più nefasta ha superato ogni limite. E a Roma ne sono consapevoli.

Polveriera Uta

I report segreti parlano di infiltrazioni conclamate nel tessuto economico e sociale dell’Isola, con contatti ormai consolidati tra la malavita locale, camorra e ‘ndrangheta soprattutto. Nei palazzi romani pensano di affrontare la questione con una sezione della Direzione Investigativa Antimafia, da ottobre al molo Ichnusa a Cagliari. Da una parte, insomma, piazzano un estintore contro le infiltrazioni, la Dia, dall’altra parte, sul versante del monte Arcosu, innescano l’ennesima polveriera mafiosa, quella dei boss di primo piano. La Sardegna, dunque, non solo cayenna di Stato, ma anche terra di conquista. I dossier vietati lo scrivono a chiare lettere: allarme mafia in terra sarda.

(1.continua)

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