A firmarlo sono quattro pastori senza bandiere (Gianuario Falchi, Nenneddu Sanna, Mario Carai e Fabio Pisu) ma il documento  spedito al ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, sembra rappresentare il sentimento di molti allevatori sardi, preoccupati per le modifiche al disciplinare per la produzione del pecorino romano (principale prodotto di trasformazione del latte sardo, che ne determina anche il prezzo): la paura manifestata è che venga spazzato via il modello di produzione sardo – che ha garantito il marchio Dop – con l’introduzione, attraverso la modifica del disciplinare voluta dal Consorzio di tutela –  di allevamenti intensivi di pecore “straniere” e non autoctone. «Il clima che si respira», fanno sapere i pastori al ministro, è quello del 2019, quando esplose la guerra del latte. 

Ecco la lettera inviata a Lollobrigida.  

***

«Egregio Signor Ministro,

i pastori sardi desiderano richiamare la Sua attenzione sulla modifica del disciplinare di produzione del Pecorino Romano DOP, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 25 ottobre, che non prevede l’inserimento delle razze positive, ovvero le razze ovine autoctone tradizionalmente allevate negli areali di produzione, ossia Sardegna, Lazio e provincia di Grosseto.

Non abbiamo nulla da eccepire riguardo alle modifiche degli altri articoli; tuttavia, la mancata inclusione delle razze autoctone non riguarda un aspetto tecnico, bensì una scelta profondamente politica, i cui effetti si ripercuotono direttamente sulla sopravvivenza del nostro modello produttivo e sociale.

In un momento storico in cui i giovani abbandonano le campagne e i piccoli centri interni, aggravando fenomeni di spopolamento già critici, questa decisione appare come un ulteriore segnale di disattenzione verso le comunità rurali che da secoli custodiscono territori, tradizioni e biodiversità.

Con tale approccio, si rischia di favorire principalmente le grandi aziende di trasformazione, interessate a sviluppare allevamenti intensivi e “enormi stalle” basate su razze estere come la Lacaune (Francese) e l’Assaf (israeliana), che producono latte con caratteristiche differenti da quello delle razze autoctone. Questa deriva minaccia la genuinità, la tipicità e la riconoscibilità storica del Pecorino Romano, qualità che hanno permesso al nostro prodotto di diventare il più importante formaggio ovino stagionato al mondo.

È evidente come lo scopo degli industriali sia quello di incrementare la disponibilità di latte, puntando sulla quantità piuttosto che sulla qualità, con l’obiettivo di abbassare il prezzo del latte alla stalla e aumentare i margini di profitto nella trasformazione. Una strategia che sacrifica l’identità del prodotto, mina il rapporto equilibrato tra allevamento estensivo e ambiente, e mette in difficoltà migliaia di piccoli produttori.

A testimonianza di quanto riportato parlano gli eventi che si sono susseguiti dal 2021, momento in cui fu presentata al ministero la richiesta di modifica del disciplinare inserendo l’elenco delle razze autoctone, ad oggi. Nel 2021 si effettuarono le assemblee nelle cooperative dei produttori, dove venne manifestata all’unanimità la volontà di inserire l’elenco delle razze. Tale volontà venne confermata nel 2022, quando nell’assemblea del consorzio la modifica fu democraticamente votata da oltre il 90% dei votanti. Tale decisione venne anche avvallata da una relazione tecnica predisposta da Agris (organo di ricerca della regione Sardegna) su richiesta formale del presidente del consorzio e ritenuta valida dal Masaf che richiedeva soltanto di apportare piccole modifiche.

Purtroppo quelle che dovevano essere delle piccole modifiche dettate dai tecnici del ministero si sono trasformate in uno stravolgimento della situazione che ci portano al giorno d’oggi.

A rendere ancor più difficile questa situazione è il fatto che, purtroppo, le associazioni di categoria non hanno difeso i nostri interessi, assumendo posizioni politiche che non rispecchiano ciò che un sindacato dovrebbe tutelare: il lavoro, la dignità e la sostenibilità economica e culturale dei pastori, anzi, pare che una delle più importanti di esse abbia subito la pressione dei più forti appoggiando la posizione contraria a quella che dovrebbe essere la sua posizione naturale.

L’insieme delle cose sta creando un forte malumore nell’ambiente delle campagne, già oggi tra i pochi allevatori che già si sono indirizzati verso il sistema di allevamento intensivo e la stragrande maggioranza degli allevatori sardi tradizionali si manifestano delle dispute a livello dei social media. Non vorremmo che queste tensioni si traducano in manifestazioni che noi non vorremmo accadessero, ma la situazione che si sta creando ricorda molto da vicino le tensioni che nel 2019 portarono alla famosa protesta del latte in Sardegna.

Noi vogliamo difendere la nostra identità, le nostre razze, il nostro modo di produrre e il nostro ruolo. La pastorizia tradizionale sarda non è soltanto un’attività economica: è un presidio fondamentale per il territorio, un baluardo contro incendi, degrado ambientale e dissesto idrogeologico.

Siamo noi, storicamente, i primi custodi dell’ambiente e delle aree interne, e senza di noi questi territori rischiano l’abbandono totale.

Per tali motivi Le chiediamo di intervenire urgentemente affinché il disciplinare venga rettificato, indicando esclusivamente le razze autoctone come le uniche ammesse alla produzione del Pecorino Romano DOP e ristabilendo così un equilibrio che tuteli la qualità del prodotto, la sopravvivenza delle aziende familiari e il patrimonio culturale e ambientale che rappresentiamo.

Confidando nella Sua sensibilità verso un settore che tanto contribuisce all’immagine e alla solidità del Paese, attendiamo un cortese riscontro».

(Unioneonline)

© Riproduzione riservata