Risse a Cagliari, esercenti esasperati: «Così non si lavora, in alcune zone c’è il liberi tutti»
Ieri ennesimo episodio di violenza con lanci di bottiglie e tavolini rovesciati: «Risposte concrete o qualcuno ricorrerà alla giustizia privata»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Risse all’ordine del giorno e la sensazione che in alcune zone di Cagliari ci sia una sorta di “liberi tutti”.
La rissa tra stranieri avvenuta ieri sera nel centro di Cagliari riaccende i riflettori sul problema della violenza nei luoghi della movida.
A farsi portavoce della preoccupazione degli operatori economici è Fipe Confcommercio Sud Sardegna: «Così non possiamo lavorare. Serve uno sforzo in più per la sicurezza di tutti», è il grido d’allarme.
«I nostri associati sono arrabbiati e preoccupati: ormai questi episodi sono all’ordine del giorno. Nonostante il costante lavoro delle forze dell’ordine e i tanti eventi che provano a restituire vitalità e vivibilità al centro, ci troviamo a fare i conti con risse, danneggiamenti e situazioni che minano la serenità di cittadini e imprese», afferma il presidente dell’associazione, Emanuele Frongia.
Non si tratta di gravi delitti né di criminalità organizzata, e si riconosce che Cagliari è più sicura rispetto ad altre città italiane. «Ma proprio per questo serve uno sforzo in più, non possiamo limitarci a dire che “siamo messi meglio degli altri”: i nostri cittadini e i nostri operatori hanno diritto a vivere e lavorare senza la paura che una rissa possa scoppiare davanti ai loro locali o sotto casa».
La percezione diffusa tra operatori e cittadini è che in alcune aree della città, come il quartiere Marina, ci sia una sorta di «liberi tutti».
Frongia punta il dito anche contro altri fenomeni legati «al degrado, al vagabondaggio o a chi chiede l’elemosina», episodi che «cittadini e commercianti vivono quotidianamente che spesso non vengono neanche denunciati, ma che hanno un impatto sulla qualità della vita in città. Non di rado siamo noi stessi a dover allontanare queste persone dai luoghi in cui lavoriamo».
Fipe chiede «risposte concrete», altrimenti c’è il rischio che «qualcuno, esasperato, scelga la strada della giustizia privata».
(Unioneonline/L)