Referendum sulla giustizia, a Cagliari esplode lo scontro tra magistrati e avvocati
Aula della Corte d’Appello concessa al comitato per il no dell’Anm, dopo la contestazione dei legali replicano Amato e Patronaggio. Evocati slogan del VentennioPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Il palazzo di giustizia di Cagliari diventa teatro scontro “politico”. Al centro della contesa c’è la concessione dell’aula della Corte d’Appello per un incontro organizzato dal comitato per il No al referendum sulla Giustizia, nato per contrastare la riforma varata dal Governo Meloni. Ordine degli avvocati e camera penale Aldo Marongiu, con due distinte lettere, avevano contestato l’autorizzazione per un’iniziativa che definivano “politica” – mentre il Tribunale è il palazzo della giustizia di tutto il popolo – arrivando a chiederne la revoca.
«Il palazzo di giustizia e le sue aule non sono – e non possono diventare – teatro della politica e dell’agone elettorale», sostiene il presidente dell’Ordine, Matteo Pinna, «non sono luoghi di parte: rappresentano uno dei presìdi più alti delle istituzioni democratiche, lo spazio in cui si amministra la giustizia in nome del popolo e in cui deve essere coltivata come valore assoluto la neutralità politica delle istituzioni».
Le repliche a questa presa di posizione portano firme pesanti. Una è quella di Vincenzo Amato, presidente del Tribunale. L’altra è di Luigi Patronaggio, procuratore generale. Scrivono dismettendo la carica e qualificandosi “magistrato in servizio in Sardegna nel Tribunale di Cagliari” il primo e come “aderente al comitato per il No” il secondo. Ma bastano i nomi – e le loro dichiarazioni – per rendere con chiarezza quale sia il livello dello scontro.
Secondo Amato «l'iniziativa» degli avvocati «è non solo sorprendente, ma di notevole gravità». Il Comitato per il No, sottolinea, «nasce per iniziativa dell'Associazione nazionale magistrati, quale strumento di azione aperto anche a non magistrati per il perseguimento di suoi fini istituzionali, in particolare con il compito statutario di dare attuazione a quanto deciso dall'assemblea della stessa Anm» che ha sede «presso la Corte di Cassazione - così come il Comitato per il no, che ha la propria sede presso l'Anm» e per questa ragione «ha sempre chiesto e legittimamente ottenuto la disponibilità di un'aula della Corte di fronte alle necessità di accogliere un elevato numero di partecipanti, come per le assemblee, ciò che è avvenuto per la deliberazione e la presentazione dell'iniziativa legata al referendum costituzionale, per la quale i locali a disposizione sarebbero stati insufficienti».
Le articolazioni territoriali del Comitato per il no, prosegue il giudice, «sono chiamate per statuto a veicolare le finalità del Comitato a livello distrettuale, coordinandosi con gli organi periferici dell'Associazione nazionale magistrati, e la sezione sarda è appunto un organo periferico dell'associazione» e da sempre «ha svolto e svolge la sua attività nel Palazzo di giustizia del capoluogo del distretto della Corte di appello di Cagliari, e i suoi associati sono solo ed esclusivamente i magistrati che lavorano nei Tribunali della Sardegna e a Cagliari, sedi esclusive delle loro attività».
Nessuno, almeno fino a ieri, «era mai arrivato a contestare che la sezione distrettuale dell'Anm potesse legittimamente chiedere e ottenere la disponibilità di spazi laddove l'attività associativa lo avesse richiesto».
I magistrati, d'altra parte, prosegue Amato «sono pubblici dipendenti e, come tali, attraverso le associazioni e i comitati da loro costituiti, hanno incontestabilmente il diritto costituzionalmente protetto di riunirsi tra loro e di discutere su materie di interesse, come appunto devono essere considerate e sono le questioni riguardanti la giurisdizione e i pericoli di interventi normativi capaci di incidere sull'indipendenza e sull'autonomia della magistratura».
Amato si dice enormemente stupito dal fatto che «il presidente di un Ordine forense locale, soggetto istituzionale, attraverso una strumentale quanto falsa qualificazione dell'incontro come iniziativa "politico-elettorale", abbia chiesto la revoca della concessione di uno spazio adeguato a un'iniziativa certamente legata ai temi della giustizia e dei diritti, sollecitata da articolazioni rappresentative dei magistrati che lavorano nella sede».
È la richiesta di revoca della concessione dell'Aula magna, «piuttosto, a tradire una personale e comunque non istituzionale posizione partigiana, favorevole al sì referendario, legittima di per sé come scelta individuale ma certamente scollegata ai fini dell'ente pubblico di cui l'avvocato è rappresentante, nella sua finalità sostanziale di impedire un'iniziativa più che legittima perché manifestazione di diritti protetti dalla normativa attualmente in vigore».
Se la questione non fosse più che seria, è la conclusione, «si potrebbe persino richiamare alla memoria un altro cartello di divieto del ventennio, che appariva sui tram milanesi, divenuto immediatamente espressione idiomatica ironica sui tentativi di ostacolare chi non segue le linee tracciate dal potere: "Vietato disturbare il manovratore”».
Patronaggio premette di «non voler entrare in polemica» e di intervenire «con spirito libero e aperto al confronto». Ma aggiunge: «Penso che reclamare il divieto di accesso al palazzo di Giustizia al “Comitato per il no” (legittima articolazione dell’ Anm), edificio che è la casa dei magistrati, degli avvocati e di tutti i cittadini onesti, sia un atto illiberale e antidemocratico. Auspico», sottolinea il magistrato, «in questo delicato momento di ingiustificate tensioni e fibrillazioni, che il Palazzo di Giustizia diventi un palazzo di vetro, trasparente, luogo di libertà e di libero confronto».
(Unioneonline/E.Fr.)
