Nelle oltre 368 pagine dell'ordinanza cautelare che ricostruisce i cinque anni d'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Cagliari non viene mai scritta la parola mafia, visto che l'operazione "Termine" – che ha portato in carcere 50 persone, altri 9 ai domiciliari e 3 con obbligo di dimora – ipotizza che nell'Isola operassero due organizzazioni criminali: una che acquistava da Toscana e Veneto ingenti quantità di cocaina, l'altra che si occupava del trasporto della droga su camion, spesso adattati con doppifondi.

Ma gli investigatori della Dda, guidati dal procuratore Rodolfo Sabelli e dal sostituto Danilo Tronci, avrebbero già da tempo una pista che collegherebbe una delle due bande alla mafia albanese. Su questo, a quanto pare, i magistrati cagliaritani starebbero già lavorando da tempo con i colleghi della Direzione nazionale antimafia, ma al momento la pista investigativa resta rigorosamente coperta dal segreto.

L'ordinanza cautelare firmata dal gip Luca Melis ricostruisce come la cocaina (quasi un quintale nel corso degli anni) sarebbe arrivata in Sardegna dalla Penisola, ma mancano del tutto i riferimenti al passaggio precedente. Chi forniva e come arrivava dall'Albania, arrivando ad alcuni connazionali in Toscana e nel Veneto, la droga che veniva nascosta nei camion e viaggiava verso la Sardegna? Il sospetto è che dietro ci sia proprio la mafia albanese: gruppi criminali con legami in mezza Europa. I carabinieri del Nucleo operativo di Carbonia che hanno materialmente condotto l'indagine, stanno ricostruendo i legami di alcuni degli 8 indagati albanesi con connazionali e parenti che vivrebbero ancora oltre l'Adriatico. 

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