Un blitz, notturno, come si conviene alla storia sarda del “cane a sei zampe”. Il dominus del petrolio e del gas d’Italia, quell’ente di Stato nato e cresciuto sotto l’egida di Enrico Mattei, non si è smentito nemmeno questa volta. Da vendere, o meglio da cedere, nel “portfolio di Sardegna” c’era una distesa di sole e sale, acqua di mare e fenicotteri. Un’oasi naturalistica “inventata” ai primi del secolo scorso da un tecnico toscano con il debole per la natura e la passione per gli affari. Lui, l’ingegner Luigi Contivecchi, lungimirante imprenditore dell’ambiente, correva l’anno 1921, inventò un sistema di vasi comunicanti a ridosso della spiaggia di Giorgino, con l’intento di sconfiggere la malaria e produrre l’oro bianco, quel sale di Santa Gilla capace di rigenerarsi con la stessa frequenza dell’inverno e dell’estate.

Longa manus

La longa manus dell’Eni, nell’anno secondo della pandemia, cento anni dopo, è riuscita nei suoi piani: strappare all’Isola anche quel ben di Dio. Nel silenzio del palazzo di ghiaccio dell’Eur di Roma, lontano da occhi indiscreti e orecchie curiose, nelle ultime ore ha messo nero su bianco un’operazione destinata a cancellare per sempre la presenza dell’Eni nel sud Sardegna. Tutto gestito con un tempismo degno di uno stratega della fuga di Stato: pezzo dopo pezzo, promesse su promesse, tutte annunciate in pompa magna e annegate nel dimenticatoio regionale. L’Eni è un martello pneumatico, incessante nella demolizione di ogni speranza, declinate prima con brochure patinate e in quadricromia e, poi, divelte con la forza d’urto di una volata di miniera. Sulla storia del sale sardo, quello della Contivecchi S.p.A., è puntuale come la scadenza del Capodanno. Ad appena 365 giorni dall’avvento del cavaliere del Santo Sepolcro, tal Antonio Donato Todisco, negli impianti del cloro-soda di Macchiareddu, l’Eni mette a segno il colpo finale: vendita delle quote azionarie della società che gestiva quell’immensa distesa di sale alla periferia di Cagliari. L’operazione si consuma nel silenzio assoluto, con l’obiettivo di mettere tutti davanti al fatto compiuto, Regione per prima. Del resto si sa, l’Eni è abituata a comandare, imporre, fare quello che vuole, soprattutto in casa di Sardegna. Per farlo dispiega tutto il peso di una società di Stato, con l’invadenza di chi ha fatto e disfatto, senza mai pagare pegno, dalle mancate bonifiche ambientali in terra di miniera sino a quelle della chimica. L’ennesimo blitz si consuma a ridosso del primo specchio d’acqua nel cuore della Sardegna, quella laguna di Santa Gilla riverbero solare per la capitale dell’Isola. Quote azionarie cedute. Vende Contivecchi S.p.A., in nome e per conto di Eni, compra Italkali, dominatrice palermitana del sale di salgemma, non quello da salina, ma da miniera. Dall’eredità di Enrico Mattei a quella dell’avvocato Francesco Morgante, il re del sale. Un vero e proprio oligarca siciliano dell’oro bianco capace di far perdere, nel 2015, con una sola mossa il 51% dell’Italkali nientemeno che alla Regione Sicilia, che si era “dimenticata” di mettere al sicuro la proprietà pubblica di quelle miniere. Ora gli eredi del patriarca di quell’operazione tutta siciliana, pur non avendo mai gestito una salina, mettono le mani sul più importante compendio economico ambientale della Sardegna: le saline di Santa Gilla. Si ignora il costo dell’operazione. Di certo si sa che il preliminare di vendita, cessione di quote della Contivecchi alla Italkali, è stato siglato nel cuore della notte di mercoledì scorso. Come da prassi nessun comunicato stampa, nessun annuncio in pompa magna, ma rigorosissimo silenzio, per non disturbare la “fuga dal sale”. La comunicazione alle Rsu, le rappresentanze sindacali unitarie di Macchiareddu, arriva con l’efficacia di un telegramma, stringato e senza dettagli. Giusto un passaggio burocratico. Idem per la Regione, che, anziché un telegramma, riceve un epitaffio sull’operazione. Il 31 maggio prossimo, Eni, sindacati e i signori di Palermo faranno le presentazioni ufficiali negli uffici dell’assessorato dell’Industria della Regione. Partecipazioni a matrimonio già consumato. In quell’occasione si capirà se prevarrà la cronica sudditanza verso l’Eni, oppure se la Regione porrà un argine serio e concreto a quella che appare come la “compravendita” di una “concessione mineraria regionale” in dispregio di norme scritte e impegni presi.

Non paga dazio

L’Eni, infatti, porta a casa questa ennesima fuga senza pagare alcun dazio alla Sardegna, liquidando i propri impegni, messi nero su bianco anche recentemente, con un atto tanto segreto quanto solitario. I fotogrammi della mente rievocano i proclami di Claudio Descalzi, il numero uno di Eni, che tre anni fa, tra specchi d’acqua e voli allineati di fenicotteri rosa, declamava la valenza industriale e ambientale di quei 2.615 ettari di sale e sole trasformati in un’oasi del Fai, Fondo Ambiente Italia, indicato come garante “morale” degli impegni ambientali dell’Ente di Stato. Il piano di fuga, allora, era appena agli albori. Era stato ideato nei singoli dettagli, dispiegato con una prima grande parata e, solo successivamente, attuato sino in fondo con la vendita di tutti gli asset produttivi a partire dagli impianti industriali del cloro-soda.Dopo appena un anno dalle riviste patinate e in quadricromia, tra montagne bianche e ciak cinematografici, l’illusione di una nuova vita per quel compendio, evapora come l’acqua di mare in quella salina. Giusto una stagione e, poi, il piano entra nel vivo. Si inizia dall’asset industriale, quello che trasformava il sale in cloro-soda, fondamentale nell’industria dell’igiene e non solo. In quel caso, siamo ad aprile del 2021, l’Eni, contravvenendo a tutti gli impegni di facciata, vendeva, o forse cedeva, l’impianto del cloro-soda all’anonima “Società Chimica Assemini”, guarda caso creata appena qualche settimana prima da un signore ben informato e gradito nei palazzi petroliferi, quell’Antonio Donato Todisco, già protagonista di una poco edificante vicenda industriale in quel di Brescia, ancora all’attenzione delle cronache giudiziarie con accuse pesanti sul piano ambientale. Nonostante la concessione regionale impedisse la separazione dell’asset industriale da quello delle saline, la Regione fa finta di niente e non impugna la vendita. L’Eni mantiene le “vasche” del sale, ma cede gli alambicchi industriali. Passa un anno.

I buchi neri

Siamo al 18 maggio scorso: è l’ora della “vendita” delle saline, quelle che, appena tre anni fa, erano state oggetto di un rinnovo di concessione mineraria regionale. Un atto sopra le righe e fuori dalle norme. Su quest’operazione, infatti, pesano come macigni almeno quattro questioni dirimenti: il passaggio ad una nuova società della concessione è espressamente vietato; la durata della concessione regionale; gli impegni finanziari sottoscritti e non mantenuti dall’Eni; la mancata trasparenza sulla compravendita con l’esclusione degli operatori sardi.La prima grande questione è l’articolo «sette» della concessione in essere. La disposizione è precisa: «La concessione non è soggetta ad autonomo trasferimento, che deve essere preventivamente autorizzato dall’Assessorato Industria - Servizio attività estrattive e recupero ambientale». Quello che appare un artifizio societario, con il subentro di una nuova società nel capitale azionario, risulta essere palesemente un aggiramento delle norme su trasparenza e concorrenza. Nel caso di un nuovo soggetto la Regione avrebbe dovuto, infatti, indire una competizione internazionale e affidare la concessione al migliore offerente, sia sul piano economico che sociale e ambientale. A questo si aggiunge un vizio sostanziale nel regalo che la Regione (ai tempi di Pigliaru) ha fatto all’Eni garantendogli un rinnovo della concessione per ben 27 anni. Tutto questo in contrasto con una disposizione puntuale sancita da una delibera regionale, la 47/18 del 20 ottobre del 2009 che prevedeva: «La durata temporale dell’autorizzazione di cava e della concessione mineraria dovrà essere commisurata alla dimensione del giacimento e al reale periodo di ammortamento degli investimenti necessari per finanziare la ricerca mineraria, l’avviamento dei giacimenti e la realizzazione dei nuovi impianti, e comunque non superiore ai 15 anni». La Regione, dunque, avrebbe fatto un “regalo” all’Eni di almeno 12 anni, visto che tutte le altre concessioni, anche di altre saline, successive al rinnovo dell’Ente di Stato, sono avvenute per un periodo massimo di quindici anni. A questo si aggiunge un impegno finanziario dell’Eni di ben 60 milioni di euro sottoscritto all’atto del rinnovo della concessione. L’Ente di Stato, però, ha investito poco o niente. Infine, la trasparenza. Alla competizione, sconosciuta ai più, avrebbe partecipato anche una compagine di imprese operanti in Sardegna, tutti utilizzatori del sale di quel compendio.

I sardi esclusi

Ne facevano parte la Fluorsid del patron del Cagliari Calcio, Tommaso Giulini e la Cadelano, la prima industria di raffinazione della Sardegna. Esclusi, ma non si sa con quali motivazioni, a favore dei siciliani della Italkali. Ultime due annotazioni. C’è un “giallo” che riguarda l’approvazione del piano di caratterizzazione dell’area delle saline, in pratica la presenza o meno di problematiche ambientali nel sottosuolo. Il documento sarebbe all’esame di un organismo competente da oltre un anno e mezzo. In realtà, però, il tema è tabù. La partita, infatti, peserebbe non poco sui costi ambientali nel più ampio compendio di Santa Gilla. Infine, c’è la “fuga del sale”, molto spesso negato agli stessi operatori sardi come documentato nelle nostre inchieste nei mesi scorsi. Tra le ultime operazioni dell’Eni ci sono almeno due gigantesche navi cariche di sale sardo destinate alla Spagna. Le montagne bianche stoccate all’interno del Porto Canale, che pubblichiamo nella foto, sono la prova evidente dell’ennesimo sfregio all’Isola. Su Santa Gilla è l’ora del tramonto del sale di Sardegna.

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