Francesi sul Flumendosa, esplosivo & nuova diga
Ecco il progetto per la centrale idroelettrica, gallerie e tralicci per decine di chilometri da Orroli sino a SanluriPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Mauro Pili
Il cancello è sbarrato. Strada di pertinenza forestale, recita un cartello in disuso. L’unico ritmo del tempo qui è scandito dal dondolio di un batacchio appeso all’andamento lento del bestiame d’alta quota. I tornanti per inerpicarsi su questo promontorio sono l’ingresso tortuoso nell’aldilà, dove la storia della terra è rimasta ferma a duecento milioni di anni fa, quando le capriole dell’universo hanno proiettato su questo altopiano le rocce più antiche. Taccu sa Pruna recita la mappa, la punta più alta a nord est del grande fiume, il Flumendosa. La distesa verso l’orizzonte è un piano da biliardo. Da qui si traguarda il fronte opposto, quello del gigante rosso, quel nuraghe Arrubiu, punto cardinale per l’entroterra del Sarcidano, tra Orroli, Escalaplano ed Esterzili. Se varchi quella soglia recintata senza lucchetti in un attimo ti addentri in un’altra era geologica. La pietra fattasi roccia è segnata dal tempo, nera come il buio, striata come le rughe di una terra millenaria.
I signori d’Oltralpe
Quando i francesi, quelli dell’Edf, una sorta di Enel di Francia, hanno spedito qui, su questo pianoro segnato dal tempo, geologi e trivelle nessuno immaginava l’ardito pensiero che albergava nella smania dell’imperialismo elettrico dei signori venuti d’Oltralpe. Dello sbarco dei galletti di Francia non se n’è accorto quasi nessuno. Il deserto paleozoico era rimasto, sino ad allora, intonso e inviolabile. Sino a quel diciotto novembre dello scorso anno, ancora in piena pandemia, quando nel silenzio più totale la trivella ha sfidato le profondità terrestri e il freddo d’altitudine. Nel primo giorno quella lama rotante che aggrediva il sottosuolo per riportarne in superficie stratigrafia e consistenza è riuscita a raggiungere la modesta profondità di 5,5 metri. Nel secondo giorno il “fotografo” delle profondità si è spinto sino a 18 metri. Il riscontro sin dal primo metro scavato non cambiava. Il banco geologico che sormonta la diga di Nuraghe Arrubiu è una montagna di “dolomie giurassiche”, la roccia risalente ai tempi più lontani, quando i continenti si distanziavano e la terra assumeva i connotati del futuro.
Olimpo Giurassico
Terre antiche in un’Isola scolpita nell’Olimpo della longevità anche geologica. Quando cammini in questo proscenio ti accorgi che l’unica ad essersi insinuata e plasmata tra questi affioramenti massivi del Giurassico del Sarcidano è quella arcaica macchia mediterranea, forte e resistente, balsamica e ristoratrice. I libri di testo recitano: rocce con 150/200 milioni di anni di storia. Con i prelievi di roccia, dal piano di campagna verso la profondità, si contano ben ventisei metri di spessore di dolomia giurassica, tanto antica quanto dura. Il prosieguo del “carotaggio” fa emergere quel che i sacri libri di testo geologico avevano da tempo segnalato: è questa una delle terre più agitate e antiche dell’Isola. Là sotto c’è di tutto, dalla dolomia arenacea alle siltiti nerastre sino alle rocce scistose della Formazione di Santa Vittoria.
Non cercano petrolio
Un vero e proprio museo a cielo aperto della storia geologica nel cuore dell’Isola. Come se cercassero petrolio, i francesi dell’ente energetico di Parigi, non si sono fermati nemmeno alla vigilia di Natale, sotto pioggia battente e neve copiosa. Hanno perforato in lungo e in largo, tre trivellazioni profondissime sino a 59 metri di profondità. In quel genere di rocce solitamente si cerca l’oro nero, qui, invece, i geologi spediti da Macron & company cercano rocce impermeabili, solidità strutturale di quel pianoro sopra la grande diga di Nuraghe Arrubiu. In pochi sanno cosa passa per la testa di quella multinazionale calata in terra di Nuraghi per agguantare affari e incentivi a piene mani.
A pensar male
Del resto a pensar male qualche volta ci si azzecca. Qualche settimana fa in base a una “soffiata” ministeriale abbiamo raccontato di un progetto francese, marchiato Edf, attraverso la Edison, per mettere le mani sull’acqua del Flumendosa per realizzare una mega centrale idroelettrica. Del piano di sbarco, però, si conosceva solo il titolo e pochi altri elementi. Per due mesi quelle carte, 470 faldoni, sono rimasti blindati nel ministero della Transizione Ecologica. Impossibile accedere. Quando il fortino idroelettrico si socchiude il vortice di mappe, sezioni, calcoli, svela il progetto di “Taccu sa Pruna”. I francesi non solo vogliono mettere le mani sull’acqua del Flumendosa, ma hanno messo nero su bianco un progetto tanto ardito quanto surreale.
Esplosivo a gogò
L’obiettivo non è quello di usare il “salto” già esistente tra le dighe del Flumendosa, ma costruirne una tutta nuova, non sbarrando un corso d’acqua, ma facendo saltare letteralmente per aria quell’altopiano, per ricavarne quella che tecnicamente si chiama, per quantità e dimensioni, una “grande diga”. I pronipoti di Napoleone non badano a spese, soprattutto se i soldi devono arrivare dalle bollette degli italiani e dei sardi, e non hanno alcuna contezza, in terra altrui, di ambiente e natura. Quel massiccio di dolomie giurassiche a monte del Nuraghe Arrubiu sarà demolito a colpi di esplosivo, con una campagna di tritolo e plastico destinata a durare, secondo i piani, dai 40 ai 60 mesi. E lo scrivono senza pudore alcuno: «Si specifica che in alcune fasi di cantiere, quali ad esempio la realizzazione del bacino di monte, verrà utilizzato dell’esplosivo per ottimizzare la realizzazione dello stesso».
La nuova diga
L’obiettivo francese è quello di costruire lassù una diga di monte scavata nella roccia, con un volume utile di circa 3 milioni di metri cubi da collegare, tramite una condotta forzata sotterranea, al bacino di valle esistente, quello dell’invaso di Nuraghe Arrubiu. Un dislivello di quasi quattrocento metri, tutti da sfruttare per produrre energia elettrica. A raccordare il nuovo ipotizzato bacino ci sarà una condotta di 2,3 km. Il gioco del “sali e scendi” dell’acqua, in sintesi, prevede che durante i momenti della giornata in cui vi è un surplus di energia in rete, sostanzialmente quando le pale gireranno a vuoto e i pannelli si irraggeranno in abbondanza, questa sarà utilizzata per “pompare” l’acqua dal Flumendosa verso la nuova diga a monte, la fase di accumulo di energia, per poi riscaricarla a valle per “generare”, attraverso il “turbinaggio”, nuova corrente elettrica.
Caverna elettrica
I francesi, con questo meccanismo, pensano ad una produzione elettrica spinta, con una potenza tra i 350/400 megawatt, sollevando e scaricando quei tre milioni di metri cubi d’acqua in appena 8 ore e mezza. Oltre al gigantesco sbancamento sull’altopiano, con l’elevazione di uno sbarramento da realizzare con tutte le rocce di scavo, da erigere sia sul fronte verso valle che tutto intorno al nuovo invaso, il progetto prevede di addentrarsi nelle viscere della terra, a 490 metri di profondità, per incastonare una centrale idroelettrica in caverna, alta 30 m con una superficie di ben 2.655 metri quadri, tutto a due passi da Lucifero.
46 km di mega tralicci
Lì sotto sarà realizzata anche una sottostazione elettrica da cui partirà, secondo le intenzioni francesi, una rete di alta tensione che attraverserà con tralicci imponenti paesi e campagne, laghi e strade, per ben 46 km, da Esterzili passando per Nurri, Orroli, Serri, Escolca, Mandas, Gergei, Villanovafranca, Villamar, Segariu, Furtei, sino a Sanluri. In tutto il piano c’è anche il “contentino” per chi ci tiene all’ambiente: «Tali impatti, considerabili comunque non significativi, saranno mitigati attraverso opportuni accorgimenti tecnici e progettuali». Per i francesi, del resto, sbancare “Taccu sa Pruna” nel cuore del parco del Flumendosa ha un “impatto non significativo”.
Non badano a spese
E per arrivare all’obiettivo non badano a spese. Il “computo metrico estimativo” è a maglie larghe, tanto i soldi non li mettono loro. Il costo delle opere previsto è di 543 milioni di euro, quanto basterebbe per rifare tutta la SS.131 o raddoppiare, elettrificandola, la rete ferroviaria sarda. Nel quadro economico, poi, hanno il “coraggio” di indicare anche le spese “generali” per ben 73 milioni di euro. Le cifre delle “spesucce” sono da capogiro: 27 milioni per la progettazione, un milione e mezzo di generiche spese di consulenze e supporto tecnico, la bellezza di sei milioni per i collaudi e la “modestissima” cifra di 35 milioni di “imprevisti”.
Soldi dalle bollette
Tutti soldi che i francesi non metteranno se non a una condizione: riceverli sotto forma di lauti incentivi dalle casse dello Stato italiano, o meglio dalle tasche dei cittadini sardi e non solo, che dovranno sborsare sempre di più per pagare la bolletta sovraccaricata ulteriormente di incentivi per i signori del vento, del sole e ora pure i francesi dell’acqua. Non si tratta, ovviamente, di una facile profezia.
Prima gli incentivi
I francesi lo scrivono senza mezzi termini: «Si fa presente che, ad oggi, è ancora in via di definizione il meccanismo di remunerazione applicabile ai nuovi impianti di pompaggio. Solo successivamente alla definizione del quadro normativo-regolatorio e del relativo meccanismo di remunerazione, che sarà specificatamente individuato per tale fattispecie di impianti, la Società potrà valutare la sostenibilità economico-finanziaria del progetto».
Decide Roma
Come dire: prima fateci capire quanti incentivi ci date, poi, se guadagneremo a piene mani sbancheremo a colpi di tritolo l’altopiano di Taccu sa Pruna. Del resto i francesi quando ci si mettono vogliono fare le cose in grande, a casa d’altri. Sino al 16 ottobre ci si può opporre, poi, con il silenzio in terra sarda, deciderà Roma, come sempre.