Ci sono storie che rischiano di perdersi nel tempo, voci che si affievoliscono fino a diventare sussurri appena percepibili. Ma Giorgio Secci, fotografo per passione e tecnico in un’azienda petrolifera, ha deciso di fermarle, di dare loro spazio e dignità.

“Il Bagaglio”, la sua personale in bianco e nero che sarà esposta al MUA di Sinnai dal 15 marzo all’11 maggio è un viaggio nell’anima dei nostri anziani.

Ventisei scatti intensi, ognuno accompagnato da una didascalia che ne racconta la storia e dalla voce autentica dei protagonisti, registrata mentre si raccontano tra ricordi, emozioni e aneddoti. Un’immersione totale nella vita all’interno di diverse residenze sanitarie assistenziali sull’Isola, in quel limbo spesso invisibile in cui gli anziani convivono con il loro passato, tra speranze e nostalgie.

La fotografia di Secci non è mai invasiva: è rispettosa, delicata, capace di cogliere non solo le rughe sui volti, ma le esperienze che le hanno disegnate.

«In ogni persona c’è un mondo infinito», racconta l’autore. «Un bagaglio pieno di ricordi, di sofferenza, di rimpianti, di orgoglio, di speranza. Pieno di vita».

Ma “Il Bagaglio” è anche una riflessione sociale, un’indagine su come il nostro Paese affronta la vecchiaia.

«A differenza di altre nazioni europee, l’Italia ha puntato sulle Rsa, aumentando il numero di anziani ospitati, soprattutto dopo la pandemia del 2020», spiega Secci. «Le storie che ho raccolto mostrano chiaramente le conseguenze di questa scelta».

C’è chi in struttura si sente amato e protetto, chi aspetta di tornare a casa, chi ha perso tutto e chi non si arrende all’idea di dover sottostare a nuove regole. Eppure, in tutti resta intatto il desiderio di raccontarsi, di ridere e commuoversi, di lasciare un segno.

Per Secci questa è stata un’esperienza che lo ha cambiato. «Tutto è iniziato nel 2023, quando frequentavo un corso di fotografia. Cercavo un tema che parlasse dell’umano, e ho capito che volevo raccontare gli anziani. Ma non quelli che hanno ancora una voce forte nella società: quelli che da troppo tempo non raccontano più nulla, né agli altri né a loro stessi».

Così ha passato 14 mesi nelle Rsa, costruendo ponti con i suoi “modelli”, ascoltando le loro vite e ricevendo in cambio molto più di quanto si aspettasse.

«Se agli occhi di molti può sembrare un progetto fatto per loro, in realtà l’ho fatto anche per me», confessa. «Ogni consiglio ricevuto, ogni confidenza condivisa ha aperto cassetti chiusi dentro di me, mi ha fatto riscoprire ciò che davvero conta».

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