La cifra che meglio identifica il mondo attuale è quella dell’incertezza e della precarietà. Ci stiamo scoprendo sempre più fragili e impreparati di fronte alla realtà che muta rapidamente e dove le regole del gioco sono diverse da quelle a cui la maggior parte di noi si è abituata nel corso del XX secolo.

A scombussolare le carte sono stati principalmente alcuni fattori. Innanzitutto, è aumentata la complessità del mondo perché sono cresciute le interrelazioni tra eventi anche geograficamente lontani tra loro. Infatti, le moderne telecomunicazioni, Internet, la velocità con cui questi mezzi consentono lo scambio di informazioni fanno sì che un problema nato anche dall’altra parte del mondo scateni il panico anche a casa nostra in tempi ridottissimi. Il secondo elemento di mutamento è dovuto alla rapidità con cui avvengono oggi i cambiamenti, soprattutto in ambito tecnologico. Un’accelerazione impressionante a cui si fatica a stare al passo.

La copertina del libro

Vi è poi un altro fattore da considerare: siamo figli, in un modo o nell’altro, della stagione della globalizzazione. Il periodo che va dal 1989 al 2008 ha rappresentano una stagione storica con una sua unitarietà, che ha conosciuto una potente fase economica espansiva, sviluppata dai paesi anglosassoni sul piano internazionale attraverso una politica di deregulation. Un ciclo di espansione non solo economica, ma anche finanziaria, tecnologica e geografica. E in un certo senso anche di espansione della soggettività: nell’Occidente avanzato si è affermata l’idea che ciascun individuo ha diritto di vivere molte più occasioni, opportunità ed esperienze di quanto accadeva in passato. È nata quella che Zygmunt Bauman ha definito con felice sintesi la “modernità liquida”.

Ma cosa resta realmente di questa liquidità preconizzata da Bauman ora che il modello di sviluppo che ha dominato il passaggio di secolo è ormai tramontato? Come tenere insieme, allora, una società sempre più grande e frammentata, che si sbarazza dell’ordine morale tradizionale in nome della libertà personale? Si tratta di questioni epocali che vengono affrontate dai sociologi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti nel loro Macchine celibi (Il Mulino, 2025, pp. 180, anche e-book) partendo da un assunto: l’epoca della globalizzazione ha espresso una sua visione del mondo, quella appunto dell’espansione dell’io, del cambiamento continuo dell’opinione e del cosiddetto “regime dell’equivalenza”.

Si è vissuta una stagione quasi adolescenziale in cui si è scoperta la libertà di massa e in cui si è pensato che essere liberi significasse semplicemente fare ciascuno quel che desiderava. Il risultato è stata una sorta di costante disgregazione dei punti di riferimento.

Il digitale, che si propone come antidoto alle spinte disgregatrici della nostra epoca, è allo stesso tempo un potente catalizzatore di nuovi problemi. Il risultato è paradossale: massima efficienza e massimo caos comunicativo coesistono. E mentre le macchine intelligenti diventano sempre più simili all’uomo, l’uomo rischia di regredire a “macchina celibe”: un "Io” isolato, performante, privo di legami e incapace di riconoscere l’altro.

Magatti e Giaccardi richiamano all’urgenza di un pensiero nuovo, a partire dalla riscoperta di una “politica dello spirito” capace di restituire senso, legami e futuro alle nostre società. Lo possiamo fare innanzitutto riaffermando la positività dell’individualismo nel momento in cui ci porta a scegliere liberamente, a impiegare appieno le nostre facoltà. Uniformare il nostro pensiero a quello della maggioranza conduce, infatti, all’inerzia e alla passività. Tuttavia, lasciare campo libero all’esaltazione del proprio ego mette a rischio la nostra umanità esponendoci al narcisismo più sfrenato. Un narcisismo che vive dell’amore e della passione altrui ma non restituisce nulla, che sconfina nell’egoismo perché consuma tutto ciò che ha intorno. Il risultato di questo atteggiamento è una profonda sofferenza per gli individui stessi ma anche per la società tutta. Vale allora la pena di provare a cambiare le regole del gioco contemporaneo, non lasciandosi troppo travolgere dallo spirito del nostro tempo che ci spinge all’autoreferenzialità, una autoreferenzialità che ci isola e non ci aiuta nella complessità contemporanea. La via d’uscita sta nel recuperare ciò che la modernità ha emarginato: il dialogo, il pensiero, lo spirito. Perché la felicità non è celibe… e nemmeno la libertà.

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